Home Blog Pagina 124

Conciliazione sindacale e verifica della maggiore rappresentatività

0

L’Ispettorato nazionale del lavoro, intervenendo in merito al diniego opposto al deposito di verbali di conciliazione ad un’organizzazione sindacale, per supposta carenza di legittimazione, chiarisce che la rappresentatività va verificata solo se la procedura di conciliazione è disciplinata dal contratto collettivo.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con nota 17 maggio 2018, prot. n. 163, ha trasmesso alle sedi territoriali il parere relativo alle condizioni di deposito presso gli Ispettorati territoriali del lavoro dei verbali di conciliazione siglati in sede sindacale, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 411 c.p.c. Si tratta di una questione sollevata dall’organizzazione sindacale Confederazione Dirigenti Quadri Impiegati dell’Agricoltura (Confederdia), la quale aveva segnalato all’INL il diniego, da parte di un ufficio territoriale, al deposito di verbali di conciliazione sottoscritti ex art. 411 c.p.c., motivato dalla presupposta carenza di legittimazione dell’organizzazione medesima. A riguardo, con la nota in commento, l’INL chiarisce che la verifica circa la maggiore rappresentatività dell’organizzazione sindacale, che ha assistito un lavoratore in sede di conciliazione ex art. 410 c.p.c., è prevista nei soli casi in cui la conciliazione sia stata disciplinata dal contratto collettivo di riferimento.

Quadro normativo

A seguito della riforma attuata dal Collegato Lavoro (art. 31, Legge n. 183/2010), la conciliazione in sede sindacale, viene disciplinata dal disposto dell’art. 412-ter c.p.c., secondo il quale «la conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’art. 409, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative». Raggiunto l’accordo, il verbale di avvenuta conciliazione, sottoscritto dal datore di lavoro, dal lavoratore e dai rappresentanti sindacali,
viene depositato, a cura di una delle parti o per il tramite dell’associazione sindacale, presso l’Ispettorato territoriale del lavoro che ne accerta l’autenticità e ne cura il deposito, a norma dell’art. 411 c.p.c., nella cancelleria del Tribunale competente. In tal modo l’accordo raggiunto in sede sindacale può acquistare efficacia esecutiva.

Alcuni contratti collettivi di categoria prestano attenzione alla materia delle controversie individuali, come ad esempio in linea generale, l’istituzione diapposite strutture paritetiche, a livello nazionale o territoriale, cui le parti interessate possono far riferimento per l’espletamento del tentativo di conciliazione secondo modalità e termini predefiniti, come si può ad esempio rilevare nei comparti del terziario, del credito e del turismo. L’obiettivo è poter dare alle parti una sede di confronto dove raggiungere, con l’assistenza tecnica dei
rappresentanti sindacali, una soluzione di compromesso. Vi sono, poi, altri contratti che, invece, si limitano ad inserire clausole più generiche, come ad esempio avviene nel CCNL Industria Metalmeccanica (Sez. IV, Tit. VII, art. 7).

A tal proposito, il parere in commento richiama i due requisiti previsti dalla normativa processuale civilistica necessari per un valido deposito dell’accordo sottoscritto. In particolare, quest’ultimo deve essere raggiunto con l’effettiva assistenza al lavoratore da parte di esponenti dell’organizzazione sindacale a cui lo stesso si è affidato, come ribadito anche dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 11167/1991 e, più recentemente, nella sentenza n. 12858/2003.
L’assistenza fornita dall’associazione in favore del lavoratore – purché effettiva e cioè correttamente attuata mediante la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato (in tal senso, vedasi Corte Cass. Sez. lav. n. 20201/2017) – costituisce, pertanto, condizione imprescindibile e sufficiente per la validità della conciliazione sindacale e, dunque, per il suo deposito presso l’Ispettorato territoriale. Infatti, l’articolo 410 c.p.c., al 1° comma, prevede che «chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all’art. 413». Inoltre, come precisato dal successivo articolo 411, comma 3, «il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la Direzione provinciale del lavoro (oggi Ispettorato territoriale del lavoro) a cura di una delle parti o per il tramite di un’associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l’autenticità,
provvede a depositarlo nella cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto». Pertanto, il direttore dell’Ispettorato territoriale del lavoro, o suo delegato, deve verificare l’autenticità del verbale di conciliazione e solo dopo tale riscontro è possibile procedere al deposito del verbale di conciliazione presso la cancelleria del Tribunale ed, eventualmente, ottenere il decreto di esecutività, su istanza della parte interessata.

Precedente orientamento ministeriale

La materia era già stata oggetto, in passato, di precisazioni da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Rispondendo ad un quesito, infatti, la Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, con nota prot. n. 5199 del 16 marzo 2016, aveva chiarito che, per il deposito dei verbali di conciliazione in sede sindacale ex art. 411 c.p.c., il soggetto sindacale deve essere in possesso di elementi di specifica rappresentatività. Valutata la difficoltà da parte degli uffici territoriali di verificare tale requisito, è possibile fare ricorso alle
indicazioni di cui al punto C della circolare n. 1138/G/77 del 17/03/1975, ancora operative, secondo le quali al fine di svolgere l’accertamento d’ufficio, l’Ispettorato territoriale del lavoro – già Direzione territoriale del lavoro, può richiedere alle parti sindacali di apporre sul verbale espressa dichiarazione di aver adottato le procedure di cui alla normativa vigente, intendendosi per tali non più quelle “previste da contratti o accordi collettivi” del testo previgente dell’art. 410 c.p.c., bensì quelle “previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative” di cui all’art. 412-ter c.p.c.. D’altra parte, la summenzionata circolare del 1975 tiene conto del fatto che i Direttori degli Uffici Territoriali non sono tenuti ad effettuare verifiche tecnicamente complesse e suscettibili di incidere virtualmente sulle prerogative sindacali (soprattutto nell’attuale fase di valorizzazione del criterio della maggiore rappresentatività), pertanto, nel pieno rispetto dell’art. 39 Cost., la responsabilità del rispetto e della corretta applicazione delle indicazioni di fonte legislativa viene spostata a livello di autoregolamentazione sindacale.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, facendo seguito alla nota n. 5199/2016, in data 22 marzo 2016, con nota prot. n. 5755, ha ulteriormente precisato che, al fine di accertare il “possesso di elementi di specifica rappresentatività” utile all’espletamento dell’attività di deposito di verbali ex art. 411 c.p.c., è sufficiente che il verbale sia stato sottoscritto “in sede sindacale”, ossia con l’assistenza di un rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore che appartenga ad associazioni sindacali maggiormente rappresentative. Pertanto,
conclude la nota ministeriale, la verifica in ordine alla “specifica rappresentatività” del soggetto sindacale non va basata sull’elemento formale del rispetto di procedure previste dai contratti collettivi, ma sul grado di rappresentatività del soggetto sindacale.

Il parere dell’Ispettorato

A riguardo, con la nota in commento, l’INL richiama il contenuto delle citate note del 2016 (prott. n. 5199 del 16 marzo 2016 e n. 5755 del 22 marzo 2016), circa il requisito di “specifica rappresentatività” dell’organizzazione sindacale.
Muovendo, infatti, dai ragionamenti sopra esposti, è possibile ritrovare un collegamento con il parere rilasciato in precedenza dalla competente Direzione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella parte in cui – non difformemente dall’interpretazione, seppur datata, fornita con la Circolare n. 1138/1975 – si è ribadito che, ai fini del deposito del verbale presso l’Ufficio territoriale, il soggetto sindacale “deve risultare in possesso di elementi di specifica rappresentatività”. Tale indicazione deve essere letta alla luce dell’art. 412 ter c.p.c., che consente la previsione in sede contrattuale di una specifica procedura di conciliazione (generalmente trattasi dell’istituzione di apposite strutture periferiche ovvero della fissazione della sede, dei termini e del contenuto dell’istanza) esclusivamente alle associazioni sindacali dotate del requisito della maggiore rappresentatività. Di conseguenza, solo con riferimento a tali ipotesi di “proceduralizzazione contrattuale”, risulta necessaria la verifica dell’effettiva sottoscrizione da parte dell’associazione sindacale del contratto collettivo della categoria in esame nonché la verifica del grado di rappresentatività del soggetto sindacale.

In altre parole, l’Ispettorato chiarisce che la verifica circa la maggiore rappresentatività dell’organizzazione sindacale, che ha assistito un lavoratore in sede di conciliazione ex art. 410 c.p.c., è prevista nei soli casi in cui la conciliazione sia stata disciplinata dal contratto collettivo di riferimento.

Ciò detto, posto che dalla predetta verifica dipende il deposito del verbale sottoscritto e la sua esecutività, nel parere in commento si sottolinea l’importanza di individuarne le possibili modalità.

Alla luce di quanto previsto nelle citate note ministeriali del 2016, l’INL evidenzia come sarà sufficiente verificare, semplicemente d’ufficio, l’apposizione sul verbale di un’espressa dichiarazione del soggetto sindacale di conformità al requisito di cui al citato articolo 412 ter. Si tratta di una soluzione che tiene conto del principio di responsabilizzazione del sistema di relazioni industriali, garantendo l’autoregolamentazione sindacale in applicazione delle norme che la prevedono.

Da ultimo l’INL, con l’occasione, mette nuovamente in risalto la distinta ipotesi della maggiore rappresentatività in termini comparativi esaminata diffusamente dalla recente circolare n. 3/2018. Tale requisito, infatti, condiziona l’operatività di alcuni istituti contrattuali previsti dai contratti collettivi di qualsiasi livello, nonché il godimento di benefici normativi e contributivi.

In questo caso, se nell’ambito dell’attività ispettiva si verifica l’assenza dell’efficacia dei contratti applicati, vi sarà la conseguente adozione dei provvedimenti dovuti (recuperi contributivi, diffide accertative, ecc.).

Del tutto diversa è, quindi, la questione in esame, attinente all’attività della conciliazione che la normativa processuale, nell’ambito della disciplina delle conciliazioni, attribuisce alle organizzazioni sindacali, affidando in tal caso all’Ispettorato del lavoro il compito di “depositario” dei relativi verbali unitamente alla verifica delle condizioni sopra descritte, tra le quali la maggiore rappresentatività nei soli casi in cui la conciliazione sia stata disciplinata dal contratto collettivo di riferimento.

IL TESTO DEL PROVVEDIMENTO

Ispettorato Nazionale del Lavoro
Nota 17 maggio 2018, n. 163
Oggetto: Deposito verbali di conciliazione in sede sindacale ex art. 411 c.p.c. –
Chiarimenti.

Con nota pervenuta in data 11 maggio 2018, l’Organizzazione sindacale Confederdia (Confederazione Dirigenti Quadri Impiegati dell’Agricoltura) ha riferito in merito al diniego di codesto Ispettorato territoriale relativamente al deposito di verbali di conciliazione sottoscritti ex art. 411 c.p.c., motivato dalla presupposta carenza di legittimazione dell’organizzazione medesima.

A riguardo, si ritiene opportuno rappresentare quanto segue, per meglio chiarire gli aspetti già affrontati dalla Direzione generale per l’attività ispettiva e dalla Direzione generale delle relazioni industriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Ai sensi delle disposizioni del codice di procedura civile, «chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione…» (art. 410 c.p.c.).

L’art. 411, comma 3, c.p.c., come modificato dall’art. 31 della Legge n. 183/2010, prevede che «il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la Direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di un’associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l’autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto».

Ne consegue che il presupposto fondamentale della conciliazione sindacale è la circostanza che l’accordo sia raggiunto con un’effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale cioè di quella alla quale egli ha ritenuto di affidarsi, così come ribadito dal giudice di legittimità (con la sentenza n. 12858/2003 la Corte di Cassazione ha sostanzialmente confermato quanto già affermato in passato con la sentenza n. 11167/1991).

L’assistenza fornita dall’associazione in favore del lavoratore – purchè effettiva e cioè correttamente attuata mediante la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato (in tal senso, vedasi Corte Cass. Sez. lav. n. 20201/2017) – costituisce, pertanto, condizione imprescindibile e sufficiente per la validità della conciliazione sindacale e, dunque, per il suo deposito presso l’Ispettorato territoriale.

L’ulteriore requisito richiesto espressamente dalla legge, ovvero l’autenticità del verbale di conciliazione, accertata dal direttore dell’Ispettorato territoriale o da un suo delegato, consente il deposito del verbale medesimo presso la cancelleria del Tribunale e, per ciò stesso, la possibilità di ottenere, su istanza della parte interessata, il decreto di esecutività.

Quanto sopra esposto si concilia con il parere rilasciato in precedenza dalla competente Direzione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (prot. 5199 del 16/03/2016 e prot. 5755 del 22/03/2016) nella parte in cui – non difformemente dall’interpretazione, seppur risalente, fornita con la Circolare n. 1138/1975 – si è ribadito che, ai fini del deposito del verbale presso l’Ufficio territoriale, il soggetto sindacale «deve risultare in possesso di elementi di specifica rappresentatività».

La suddetta interpretazione deve essere, infatti, letta alla luce dell’art. 412 ter c.p.c. per il quale «la conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’articolo 409, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative».

In altri termini, la norma consente la previsione in sede contrattuale di una specifica procedura di conciliazione (generalmente trattasi dell’istituzione di apposite strutture periferiche ovvero della fissazione della sede, dei termini e del contenuto dell’istanza) esclusivamente alle associazioni sindacali dotate del requisito della maggiore rappresentatività.

Ne consegue che soltanto con riferimento alle suddette fattispecie di “proceduralizzazione contrattuale” della conciliazione sindacale si rende necessaria la verifica dell’effettiva sottoscrizione da parte dell’associazione sindacale del contratto collettivo della categoria in esame nonché la verifica del grado di rappresentatività del soggetto sindacale che, come precisato dalle citate note ministeriali, pur non potendosi concretare in un mero riscontro formale del rispetto delle procedure previste, potrà essere tuttavia effettuata mediante
l’apposizione sul verbale di un’espressa dichiarazione del soggetto sindacale di conformità al requisito di cui all’art. 412-ter c.p.c.

In conclusione, come già chiarito con la citata nota ministeriale del 22 marzo 2016, posto che non tutti i contratti collettivi prevedono una specifica disciplina della conciliazione, la soluzione della “responsabilizzazione”, e cioè dell’autodichiarazione del soggetto sindacale in ordine al possesso del requisito della maggiore rappresentatività (da doversi adottare – si ribadisce – nelle sole ipotesi in cui la conciliazione sindacale è realizzata secondo specifiche disposizioni contrattuali) consente di evitare all’Ispettorato territoriale accertamenti tecnicamente complessi e, al contempo, garantisce l’autoregolamentazione sindacale in applicazione delle norme che la prevedono.

Deve peraltro evidenziarsi che la disamina in esame, relativa ai requisiti richiesti dalle disposizioni di procedura civile per la conciliazione sindacale, non va posta in correlazione con la diversa tematica della verifica dei requisiti delle organizzazioni sindacali richiesti dalla normativa per l’applicazione di determinati istituti.

Ci si riferisce al requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi delle organizzazioni firmatarie, espressamente richiesto dall’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015, ai fini dell’applicazione di determinate discipline normative.

Come più ampiamente illustrato con la Circolare n. 3/2018 di questo Ispettorato,la verifica del più incisivo carattere della maggiore comparatività concerne l’applicazione, in ambito contrattuale, di determinate discipline legislative che, in assenza del requisito richiesto dall’art. 51 cit., restano prive di efficacia.

In altri termini, la disciplina contrattuale prevista da un contratto collettivo che non sia stato stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative comporta l’inefficacia della disciplina normativa applicata.

Da qui l’attenzione richiamata, con la citata Circolare, in ordine all’azione di vigilanza volta a verificare l’efficacia dei contratti applicati e, in mancanza, la conseguente adozione dei provvedimenti dovuti (recuperi contributivi, diffide accertative, ecc.).

Del tutto diversa è la vicenda in esame relativa all’attività della conciliazione che la normativa processuale, nell’ambito della disciplina delle conciliazioni, attribuisce alle organizzazioni sindacali, affidando in tal caso all’Ispettorato del lavoro il compito di “depositario” dei relativi verbali unitamente alla verifica delle condizioni sopra descritte, tra le quali la maggiore rappresentatività nei soli casi in cui la conciliazione sia stata disciplinata dal contratto collettivo di riferimento.

(Fonte Guisa al Lavoro)

Appalto e sicurezza sul lavoro: come organizzare la gestione dell’emergenza

0

Per l’attuazione delle misure di prevenzione incendi e per la gestione dell’emergenza è fondamentale che si attivi un processo di cooperazione e di coordinamento fra tutti i soggetti presenti nei luoghi di lavoro: committenti, appaltatori, subappaltatori e lavoratori autonomi. E’ quanto chiarito dalla Commissione per gli Interpelli in risposta ad un quesito posto dall’Associazione nazionale delle imprese di pulizia e dei servizi integrati. Quali informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente devono essere obbligatoriamente rese prima dello svolgimento delle attività lavorative? Cosa devono fare i datori di lavoro coinvolti per la corretta gestione delle emergenze?

La Commissione per gli Interpelli ha risposto all’istanza dell’Associazione nazionale delle imprese di pulizia e servizi integrati (ANIP), posta dopo la segnalazione di una propria associata.

L’ANIP, prospettando il caso di una impresa che, erogando servizi a soggetti committenti, si trovi nella condizione di non avere la disponibilità giuridica ed esclusiva dei luoghi in cui si svolge l’appalto ma utilizzi locali della committenza (spogliatoi, magazzini, uffici) e soprattutto eroghi i servizi in tutti gli ambienti (reparti, hall, corridoi, stanze, spazi esterni, uffici, ambulatori, laboratori, officine, ecc.), ha richiesto un parere relativamente a tre quesiti:

a) se l’obbligo imposto dall’art. 18, comma 1, lettera b), del decreto n. 81/2008 possa ritenersi assolto, per un datore di lavoro che svolga le proprie attività esclusivamente presso unità produttive di un datore di lavoro committente, attraverso la presa d’atto che il datore di lavoro committente abbia predisposto un piano generale di emergenza (ex D.M. 10 marzo 1998), che coinvolga anche eventuali lavoratori di aziende terze;

b) se le squadre di emergenza e primo soccorso del datore di lavoro committente possano considerarsi sufficienti per tutelare tutti i soggetti, anche appaltatori e subappaltatori, presenti nei luoghi di lavoro della committenza;

c) se sia sufficiente, per ritenere soddisfatto l’obbligo, di cui all’art. 18, comma 1, lettera b), del decreto n. 81/2008 per l’appaltatore, della presa d’atto, formalizzata attraverso un verbale di condivisione del piano generale di emergenza nell’ambito delle misure di cooperazione e coordinamento previste all’art. 26 del decreto 81, che il datore di lavoro committente ha predisposto il medesimo piano coinvolgendo anche eventuali lavoratori di aziende terze e ha nominato le squadre di emergenza e primo soccorso.

Cosa dice il TU della sicurezza sul lavoro

Per rispondere ai quesiti, la Commissione ricostruisce il quadro normativo vigente. Prima di tutto viene ricordato che l’articolo 18, comma 1, lettera b), del decreto n. 81/2008 prevede che il datore di lavoro e i dirigenti, che organizzano e dirigono le attività lavorative secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, debbano designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza.

L’art. 43, comma 2, del decreto n. 81/2008 prevede, inoltre, che, ai fini delle designazioni dei lavoratori, il datore di lavoro tenga conto delle dimensioni dell’azienda e dei rischi specifici; il numero degli addetti non può essere dunque aprioristicamente determinato, in quanto la designazione dei lavoratori incaricati della gestione dell’emergenza deve avvenire sulla base degli esiti della valutazione dei rischi e del piano generale di emergenza, quale previsto dal D.M. 10 marzo 1998 tuttora vigente e in attesa di aggiornamento.

Il decreto citato, cogente ai sensi dell’art. 46 del decreto n. 81/2008, definisce i criteri per la valutazione dei rischi di incendio nei luoghi di lavoro, indica le misure di prevenzione e di protezione antincendio da adottare, al fine di ridurre l’insorgenza di un incendio e di limitarne le conseguenze qualora esso si verifichi, e stabilisce di riportare gli esiti della valutazione in un piano generale di emergenza.

Per i luoghi di lavoro ove sono occupati meno di 10 dipendenti, il datore di lavoro non è tenuto alla redazione del piano di emergenza, ferma restando però l’adozione delle necessarie misure organizzative e gestionali da attuare in caso di incendio. Viene poi rammentato, facendo anche riferimento al passato Interpello n. 6/2013, che l’art. 26 del decreto n. 81/2008 fa gravare, in capo al datore di lavoro committente, gli obblighi di:

  • verificare, anche attraverso l’iscrizione alla CCIAA, l’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi, in relazione ai lavori da affidare in appalto o con contratto d’opera;
  • fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui siano destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività;
  • promuovere la cooperazione all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto e il coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte;
  • elaborare un unico documento di valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI), allegato al contratto d’appalto o d’opera, che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze, senza però includere i rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, coperti da autonome valutazioni.

Citando la Determinazione 5 marzo 2008 n. 3 dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, la Commissione conclude l’excursus normativo evidenziando che è possibile parlare d’interferenza, con obbligo di redazione del DUVRI; ove si verifichi un “contatto rischioso” tra il personale del datore di lavoro committente e quello dell’appaltatore o subappaltatore ovvero tra il personale di imprese o lavoratori autonomi diversi che operino nella stessa sede aziendale con contratti differenti, mettendo in relazione i rischi propri presenti nei luoghi in cui verrà espletato il lavoro con i rischi derivanti dall’esecuzione del contratto.

Conclusioni e la risposta della Commissione

La Commissione ritiene di non prendere in considerazione le richieste di ANIP volte ad ottenere indicazioni sulla coerenza di determinate soluzioni organizzative alle norme di legge, in quanto il decreto n. 81/2008 considera l’Interpello solo come risposta a quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa di salute e sicurezza sul lavoro, escludendo così la pronuncia sulla correttezza di modalità in base alle quali le singole aziende attuino le disposizioni normative, oggetto eventualmente di specifico accertamento in sede ispettiva.

Per quanto, invece, attiene agli obblighi generali di gestione dell’emergenza e di designazione degli incaricati, la Commissione rileva, senza profili di dubbio, che anche il datore di lavoro che operi presso i luoghi di lavoro di un soggetto committente sia tenuto all’adempimento degli obblighi relativamente a rischi specifici della propria attività suscettibili di dare luogo a situazioni di emergenza, come ad esempio nel caso di utilizzo di sostanze, attrezzature o materiali pericolosi.

Rileva altresì che il datore di lavoro committente, in caso di affidamento di lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, debba fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività.

Tutti i datori di lavoro, committenti, appaltatori e subappaltatori, nonché i lavoratori autonomi, devono necessariamente ed obbligatoriamente cooperare ad attuare le misure di prevenzione e protezione e sono tenuti a coordinare gli interventi di prevenzione e protezione, anche informandosi reciprocamente.

In conclusione, la Commissione ritiene che la gestione delle emergenze debba essere intesa come un processo, operativamente diverso caso per caso, del quale tutti gli attori coinvolti nell’appalto e/o subappalto e/o contratto d’opera svolgentesi in un medesimo luogo di lavoro siano compartecipi, fermo restando il ruolo di promotore del committente e l’obbligo per l’appaltatore/subappaltatore/lavoratore autonomo di attenersi alle procedure conseguenti alla predetta cooperazione.

Sarà dunque fondamentale che, prima dello svolgimento dell’attività lavorativa e secondo modalità non rigidamente prestabilite ma ritenute comunque idonee, tutti i lavoratori, sia del committente che dell’appaltatore/subappaltatore sia autonomi, siano portati a conoscenza di tutte le misure di gestione dell’emergenza da adottarsi obbligatoriamente.

Sarà anche necessario designare gli incaricati alla gestione delle emergenze, in relazione sia ai rischi interferenziali che specifici, in ogni realtà aziendale coinvolta in attività lavorativa svolgentesi in un medesimo luogo di lavoro.

(Fonte IPSOA)

Sgravio triennale nuove assunzioni: recupero arretrati entro il 30 giugno

0

Nell’UniEmens del mese di maggio 2018, che i datori di lavoro privati dovranno trasmettere entro il prossimo 30 giugno, trova spazio il recupero dei benefici contributivi per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti spettante per i mesi di gennaio e febbraio 2018. La retribuzione erogata e la contribuzione dovuta per l’assunzione agevolata devono essere esposti in misura piena nella sezione individuale della denuncia, salvo poi valorizzare l’elemento incentivo con l’importo del beneficio. Come si compila la denuncia contributiva?

Lo sgravio contributivo per nuove assunzioni, introdotto in via strutturale dalla legge di Bilancio 2018 è entrato in vigore già a partire dal mese di gennaio 2018, ma i datori di lavoro che hanno posto in essere assunzioni incentivate hanno potuto inserire la relativa fruizione nella denuncia contributiva e cominciare così a fruire materialmente del bonus soltanto a partire dallo scorso mese di marzo.

Con riferimento alle assunzioni effettuate nei mesi di gennaio e febbraio, l’INPS ha previsto che è possibile recuperare l’importo arretrato dell’agevolazione già maturata, a condizione che l’esposizione in denuncia contributiva sia effettuata entro il 30 giugno.

I codici da utilizzare variano in base alla fattispecie agevolata in cui rientra l’assunzione. Sulla base delle indicazioni fornite dall’INPS, la retribuzione erogata e la contribuzione dovuta per l’assunzione agevolata devono essere esposti in misura piena nella sezione individuale della denuncia, salvo poi valorizzare l’elemento incentivo con l’importo del beneficio spettante.

Soltanto nel caso delle aziende agricole la tariffazione sarà predisposta dall’INPS, sulla base degli elementi riportati nel DMAG, senza che sia necessario, vista la periodicità trimestrale, operare alcun recupero di importi arretrati.

Caratteri generali dell’agevolazione

L’esonero contributivo in oggetto spetta a condizione che l’assunzione con contratto di lavoro subordinato riguardi soggetti che non abbianocompiuto il trentacinquesimo anno di età e non siano stati occupati a tempo indeterminato con il medesimo o con altro datore di lavoro nel corso dell’intera vita lavorativa.

La misura dell’incentivo è pari al 50% dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, nel limite massimo di 3.000 euro su base annua, da riparametrare e applicare su base mensile. La durata del beneficio è pari a trentasei mesi a partire dalla data di assunzione.

La medesima agevolazione può essere riconosciuta:

  • per un periodo di 12 mesi nelle ipotesi di mantenimento in servizio, decorrente dal 1° gennaio 2018, del lavoratore al termine del periodo di apprendistato, a condizione che il lavoratore, al momento del mantenimento in servizio, non abbia compiuto il trentesimo anno di età;
  • nella misura del 100% dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, nelle ipotesi in cui le assunzioni a tempo indeterminato riguardino giovani che, nei sei mesi precedenti, abbiano svolto presso il medesimo datore di lavoro attività di alternanza scuola-lavoro o periodi di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore, il certificato di specializzazione tecnica superiore o periodi di apprendistato in alta formazione.

Si tratta di un beneficio strutturale, che non rientra nella disciplina de minimis ma limitato nella misura e nel limite massimo fruibile.

Esposizione in UniEmens

La compilazione della denuncia contributiva varia in base alla tipologia di beneficio applicato:

A) sgravio al 50%: all’interno di “DenunciaIndividuale”, “DatiRetributivi”, elemento “Incentivo”:

  • nell’elemento “TipoIncentivo” deve essere inserito il valore GECO
  • nell’elemento “CodEnteFinanziatore” deve essere inserito il valore H00 (Stato)
  • nell’elemento “ImportoCorrIncentivo” deve essere indicato l’importo posto a conguaglio relativo al mese corrente
  • nell’elemento “ImportoArrIncentivo” deve essere indicato l’importo dell’esonero contributivo relativo ai mesi di competenza di gennaio e febbraio 2018.

I dati esposti in UniEmens confluiranno nel DM10 virtuale:

  • con il codice L472 per il contributo corrente
  • con il codice L473 per il contributo arretrato.

B) Mantenimento in servizio al termine del periodo di apprendistato, all’interno di “DenunciaIndividuale”, “DatiRetributivi”, elemento “Incentivo”:

  • nell’elemento “TipoIncentivo” deve essere inserito il valore GAPP
  • nell’elemento “CodEnteFinanziatore” deve essere inserito il valore H00 (Stato);
  • nell’elemento “ImportoCorrIncentivo” deve essere indicato l’importo posto a conguaglio relativo al mese corrente;
  • nell’elemento “ImportoArrIncentivo” deve essere indicato l’importo dell’esonero contributivo relativo ai mesi di competenza di gennaio e febbraio 2018.

I dati esposti in UniEmens confluiranno nel DM10 virtuale:

  • con il codice L474 per il contributo corrente;
  • con il codice L475 per il contributo arretrato.

C) Assunzioni o trasformazioni post alternanza o apprendistato non professionalizzante, all’interno di “DenunciaIndividuale”, “DatiRetributivi”,elemento “Incentivo”:

  • nell’elemento “TipoIncentivo” deve essere inserito il valore GALT;
  • nell’elemento “CodEnteFinanziatore” deve essere inserito il valore H00 (Stato);
  • nell’elemento “ImportoCorrIncentivo” deve essere indicato l’importo posto a conguaglio relativo al mese corrente;
  • nell’elemento “ImportoArrIncentivo” deve essere indicato l’importo dell’esonero contributivo relativo ai mesi di competenza di gennaio e febbraio 2018.

I dati esposti in UniEmens confluiranno nel DM10 virtuale:

  • con il codice L476 per il contributo corrente;
  • con il codice L477 per il contributo arretrato

Esposizione in DMAG

I datori di lavoro agricolo per usufruire dell’esonero relativo ad ogni lavoratore in possesso dei requisiti previsti dalla norma, devono riportare nel flusso DMAG oltre ai consueti dati retributivi utili per la tariffazione, i seguenti dati in base alla tipologia di beneficio applicato:

Esonero contributivo al 50%:

  • nel campo Tipo Retribuzione il valore Y
  • nel campo “CODAGIO” il valore E7.

Mantenimento in servizio al termine del periodo di apprendistato

  • nel campo Tipo Retribuzione il valore Y
  • nel campo “CODAGIO” il valore E8.

Esposizione in ListaPosPA

L’eventuale recupero dei contributi relativi ai mesi di gennaio e febbraio 2018 potrà essere effettuato valorizzando i predetti elementi esclusivamente nei flussi UniEmens – ListaPosPA di competenza di marzo, aprile e maggio 2018.

Esonero contributivo al 50%:

  • nell’elemento “AnnoRif” l’Anno di riferimento dello sgravio
  • nell’elemento “MeseRif” il Mese di riferimento dello sgravio
  • nell’elemento “CodiceRecupero” il valore A
  • nell’elemento “Importo” l’importo del contributo oggetto dello sgravio.

Mantenimento in servizio al termine del periodo di apprendistato:

  • nell’elemento “AnnoRif” l’Anno di riferimento dello sgravio
  • nell’elemento “MeseRif” il Mese di riferimento dello sgravio
  • nell’elemento “CodiceRecupero” il valore B
  • nell’elemento “Importo” l’importo del contributo oggetto dello sgravio.

Assunzioni o trasformazioni post alternanza o apprendistato non professionalizzante:

  • nell’elemento “AnnoRif” l’Anno di riferimento dello sgravio
  • nell’elemento “MeseRif” il Mese di riferimento dello sgravio
  • nell’elemento “CodiceRecupero” il valore C
  • nell’elemento “Importo” l’importo del contributo oggetto dello sgravio.

(Fonte IPSOA)

Cambio appalto e clausole sociali: la tutela dei lavoratori nelle linee guida ANAC

0

L’Autorità Nazionale Anticorruzione – ANAC ha pubblicato la bozza delle linee guida sulla disciplina delle clausole sociali negli appalti pubblici, in consultazione pubblica fino al 13 giugno 2018. Le clausole sociali mirano a garantire il diritto dei lavoratori ad essere riassunti dall’azienda che subentra nell’appalto. Molto spesso sono tale diritto è oggetto di copioso contenzioso amministrativo con conseguenti costi per tutti i soggetti coinvolti e ritardi in sede di aggiudicazione degli appalti. Ora l’ANAC, con uno specifico atto regolatorio, fornisce indicazioni sulle modalità di applicazione delle clausole. Cosa stabilisce?

Arrivano le indicazioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione sulla disciplina delle clausole socialinegli appalti pubblici. L’ANAC ha infatti pubblicato il 14 maggio 2018 la bozza di Linee guida recanti “La disciplina delle clausole sociali”.

La pubblicazione è stata, in questa fase, effettuata con finalità di consultazione pubblica fino al 13 giugno 2018, data in cui, entro le ore 18, i diversi soggetti interessati potranno far pervenire eventuali osservazioni.

Si tratta di un tema di particolare rilevanza, posto che le clausole sociali negli appalti pubblici riguardano il diritto dei lavoratori ad essere riassunti dal datore di lavoro subentrante nell’appalto e risulta oggetto di copioso contenzioso amministrativo con conseguenti costi per tutti i soggetti coinvolti e spesso ritardi in sede di aggiudicazione degli appalti.

Il documento dunque si pone come ausilio nella fase di predisposizione dei bandi di gara e di esecuzione dei contratti nonchè nella fase di orientamento interpretativo per tutti i soggetti coinvolti.

Finalità della clausole sociali

Il diritto dei lavoratori di essere riassunti dal datore di lavoro subentrante nell’appalto risulta previsto da diversi contratti collettivi nazionali di lavoro (es. settori pulizia, ristorazione collettiva, vigilanza), ma è con il codice degli appalti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50) che è stato puntualmente disciplinato dal legislatore.

Peraltro, col decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56 recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, è stato rafforzato (art. 50) l’obbligo di inserire nei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, in particolare per quelli che registrano un’alta intensità di manodopera (cioè quelli in cui l’incidenza del costo del lavoro è pari almeno al 50%) specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore (articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81).

Lo stesso codice degli appalti prevede (art. 203, comma 2) che l’ANAC possa elaborare specifiche linee guida per garantire la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto.

E dunque in applicazione di quanto previsto dall’articolo 213, del Codice dei contratti pubblici l’ANAC ha deciso di adottare, con apposite Linee guida, uno specifico atto regolatorio che fornisce indicazioni sulle modalità ed applicazione delle clausole sociali, in considerazione della generale rilevanza di tale istituto nell’ambito della contrattualistica pubblica, anche se – come si legge nel documento – non sono da considerare vincolanti.

Cosa prevede il codice appalti

L’articolo 50 del codice appalti impone alla stazione appaltante un formale e specifico recepimento della clausola sociale nella lex specialis di gara e nel contratto di appalto/concessione. Tale clausola, peraltro, può anche essere ulteriormente valorizzata dalle stazioni appaltanti stabilendo anche vincoli che vanno oltre la mera tutela occupazionale e prevedendo negli atti di gara anche aspetti relativi alla protezione sociale, al lavoro e all’ambiente.

L’obbligo, come anticipato, non riguarda tutti gli appalti ma solo quelli in cui si registra un’alta intensità di manodopera.

Sono invece esclusi quelli relativi a:

  • servizi di natura intellettuale
  • appalti di fornitura
  • appalti e concessioni in cui la prestazione lavorativa è scarsamente significativa o anche irrilevante (ad esempio, appalti di natura finanziaria)
  • casi in cui è riscontrabile l’elemento dell’intuitus personae.

N.B. Su tale ultimo aspetto c’è da osservare che non vi è chiarezza, posto che l’elemento dell’intuitus personae è tipico dei servizi di natura professionale che risultano già esclusi e quindi si deve ritenere che si lasci aperta la strada ad ulteriori ipotesi rispetto a quelli già a parte indicati

Modalità e condizioni di operatività

Le Linee Guida forniscono poi alcune indicazioni specifiche sulle concrete modalità e condizioni di operatività delle clausole e ciò, evidentemente, tenendo conto della giurisprudenza amministrativa e comunitaria in materia. Il documento ricorda infatti che, la “giurisprudenza, anche comunitaria, ha chiarito che l’applicazione della clausola sociale non comporta un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento del personale utilizzato dall’impresa uscente, dovendo tale obbligo essere armonizzato con l’organizzazione aziendale prescelta dal nuovo affidatario.”.

Occorre inoltre avere riguardo alle diversità delle attività oggetto dell’appalto ovvero delle condizioni soggettive.

Laddove vi sia una differenza in termini di entità delle prestazioni, l’obbligo di assorbimento va considerato nei limiti del nuovo fabbisogno lavorativo. In ogni caso – si legge – “ il riassorbimento del personale è imponibile nella misura e nei limiti in cui sia compatibile con il fabbisogno richiesto dall’esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l’organizzazione del lavoro elaborata dal nuovo assuntore”.

Prevenzione del contenzioso

Nell’ottica invece della prevenzione di contenzioso, la lex specialis dovrà prevedere espressamente la clausola sociale e per consentire ai concorrenti di conoscere i dati del personale da assorbire, la stazione appaltante dovrà indicare, in modo chiaro, il numero di unità, monte ore, CCNL applicato dall’attuale appaltatore, qualifica, livelli retributivi, scatti di anzianità, sede di lavoro. Altro aspetto importante riguarda il riferimento dell’art. 50 del codice appalti ai contratti collettivi.

Ricordiamo che, a tal fine, per promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, deve essere prevista l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore(articolo 51 del decreto legislativo n. 81/2015). Le Linee Guida al proposito evidenziano che ciò si traduce nell’obbligo, da parte delle imprese aggiudicatarie, di applicare le clausole sociali a prescindere dalla previsione ad hoc inserita nella lex specialis di gara qualora sia prevista dai contratti collettivi.

Sulle conseguenze dell’eventuale mancato adempimento il documento ritiene che la mancata accettazione della clausola sociale costituisce manifestazione della volontà di proporre un’offerta condizionata, come tale inammissibile nelle gare pubbliche.

In concreto, se la stazione appaltante accerti in gara – se del caso attraverso il meccanismo del soccorso istruttorio-che l’impresa concorrente rifiuta di accettare la clausola senza giustificato motivo, si impone l’esclusione dalla gara. Se invece l’inottemperanza si verifichi successivamente all’impegno assunto in sede di gara e confermato contrattualmente, “la violazione imputabile all’appaltatore non rileva ai fini dell’aggiudicazione, in quanto la clausola sociale, secondo la configurazione rinvenibile dall’articolo 100 del Codice dei contratti, costituisce una condizione di esecuzione del contratto. L’inadempimento rileva nell’ambito della responsabilità contrattuale, talché unicamente la stazione appaltante è legittimata ad avvalersi dei rimedi di matrice civilistica, previsti nel contratto, ad esempio clausola risolutiva espressa e penali, e dalla legge (si veda l’articolo 108 del Codice dei contratti pubblici)”.

(Fonte IPSOA)

Trattamento dati personali: aggiornata la Convenzione UE

0

E’ pronto per essere sottoscritto il protocollo predisposto dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa con cui si provvede all’aggiornamento della Convenzione n. 108 del 1981 in materia di dati personali. L’integrazione si è resa necessaria a fronte delle nuove tecnologie che consentono il trattamento automatizzato dei dati.

Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa da notizia, in data 21 maggio 2018, dell’avvenuto completamento del processo di modernizzazione della Convenzione 108 del 1981 in materia di protezione degli individui rispetto al trattamento automatizzato dei dati personali, alla luce delle nuove tecnologie attualmente in uso. Il Protocollo rafforza i compiti delle Autorità di protezione dati e del Comitato della Convenzione, per il rispetto dei principi della Convenzione.

Il nuovo Protocollo sarà aperto alla firma il 25 giugno, in occasione della sessione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa.

Il Protocollo si rivolge anche ai paesi che, ad oggi, non fanno parte del Consiglio d’Europa, in accordo a quanto previsto dal Regolamento (UE) 2016/679 che entrerà in vigore il prossimo 25 maggio.

Tra le novità previste i punti principali riguardano:

  • il rafforzamento degli obblighi di trasparenza a carico dei titolari del trattamento;
  • l’ampliamento dei diritti degli interessati, incluso il diritto a non essere soggetto a decisioni puramente automatizzate e a conoscere la logica del trattamento;
  • maggiori garanzie per la sicurezza dei dati, incluso l’obbligo di notificare i data breach, e di assicurare un approccio di privacy by design.

(Fonte IPSOA)

Servizio di prevenzione aziendale: attenzione all’aggiornamento formativo

0

Gli addetti o i responsabili del servizio di prevenzione e protezione aziendale, per esercitare la propria funzione, devono dimostrare di aver partecipato a corsi di formazione per un numero di ore non inferiore a quello minimo previsto. L’obbligo di aggiornamento è quinquennale. I corsi non devono riguardare temi di carattere generale, ma aspetti e tematiche nuove o applicazioni pratiche collegate al contesto produttivo e ai rischi specifici del settore di interesse. La mancata frequenza dei corsi di aggiornamento comporta gravi conseguenze per gli addetti o i responsabili del servizio di prevenzione e protezione aziendale: quali?

Il 15 maggio 2018 è scaduto il secondo quinquennio di aggiornamento per chi, avendo usufruito al 15 maggio 2008 dell’esonero formativo previsto dalla legge, eserciti le funzioni di addetto o responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale. L’Accordo Stato-Regioni del 7 luglio 2016 ha disciplinato i contenuti, le modalità e il riconoscimento dei crediti formativi di tale aggiornamento. Cosa comporta il non essere in regola con l’obbligo di aggiornamento?

Capacità e requisiti professionali degli RSPP e degli ASPP

La normativa prevenzionistica di base (art. 32, T.U. sicurezza sul lavoro) disciplina le capacità ed i requisiti professionali che devono possedere i responsabili (RSPP) e gli addetti (ASPP), interni o esterni, dei servizi di prevenzione e protezione (SPP), costituti in azienda in funzione della natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativamente alle attività lavorative svolte.

Per lo svolgimento delle funzioni di RSPP e ASPP è necessario essere in possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore (salvo poter dimostrare di aver svolto la funzione di RSPP o ASPP, professionalmente o alle dipendenze di un datore di lavoro, almeno per sei mesi alla data del 13 agosto 2003, se non in possesso di tale titolo di studio), nonché di un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione (moduli A e B, base e specialistico), adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative.

Per lo svolgimento della funzione di RSPP è necessario altresì possedere un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione (modulo C), in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato, di organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative e di tecniche di comunicazione in azienda e di relazioni sindacali.

N.B. I corsi di formazione citati sono stati disciplinati dall’Accordo Stato-Regioni del 26 gennaio 2006 fino al 3 settembre 2016; da tale data l’Accordo del 2006 è stato infatti superato dal vigente Accordo Stato-Regioni del 7 luglio 2016.

Esonero dai corsi di formazione

Il Testo unico sicurezza sul lavoro prevede inoltre che i soggetti, in possesso di talune lauree riconosciute corrispondenti ai sensi della normativa vigente, siano esonerati dalla frequenza dei corsi di formazione (moduli A e B, base e specialistico). L’Accordo Stato-Regioni del 2016 ha individuato ed elencato precisamente le lauree di cui trattasi:

  • laurea magistrale conseguita in una delle classi LM-4, da LM-20 a LM-25, LM26, da LM-27 a LM-35, di cui al decreto del Ministro Università del 16 marzo 2007;
  • laurea specialistica conseguita in una delle classi 4/S, da 25/S a 38/S, di cui al decreto del Ministro Università del 28 novembre 2000;
  • laurea magistrale conseguita nella classe LM/SNT 4, di cui al decreto del Ministro Università del 8 gennaio 2009;
  • laurea conseguita nella classe L/SNT 4, di cui al decreto del Ministro Università del 19 febbraio 2009;
  • laurea conseguita in una delle classi 4, 8, 9, 10, di cui al decreto del Ministro Università del 4 agosto 2000;
  • laurea conseguita in una delle classi L7, L8, L9, L17, L23, di cui al decreto del Ministro Università del 18 marzo 2006.

Sono altresì validi, ai fini dell’esonero, tutti i diplomi di laurea del vecchio ordinamento di Ingegneria ed Architettura, conseguiti ai sensi del R.D. n. 1652/1938. Costituisce infine titolo di esonero dalla frequenza dei corsi previsti (moduli A, B, C), relativamente a ciascun modulo (moduli A, B, C), il possesso di un certificato universitario attestante il superamento di uno o più esami relativi ad uno o più insegnamenti specifici del corso di laurea nel cui programma siano presenti i contenuti previsti nell’Accordo 2016 o l’attestato di partecipazione ad un corso universitario di specializzazione, perfezionamento o master i cui contenuti e le relative modalità di svolgimento siano conformi ai contenuti dell’Accordo 2016.

Obbligo di aggiornamento

L’obbligo dell’aggiornamento per RSPP e ASPP si inquadra a pieno titolo nella formazione continua da attuare durante l’intero arco della vita lavorativa. In relazione ai compiti di RSPP e ASPP, l’aggiornamento non deve essere di carattere generale o mera riproduzione di argomenti e contenuti già proposti nei corsi base, ma deve trattare evoluzioni, innovazioni, applicazioni pratiche e approfondimenti collegate al contesto produttivo e ai rischi specifici del settore di interesse.

L’Accordo del 2016 ha puntualmente indicato le tematiche oggetto di aggiornamento, le modalità di erogazione della formazione e i soggetti formatori titolati. Le ore minime complessive dell’aggiornamento sono fissate in base al ruolo svolto e sono rispettivamente pari a 20 ore nel quinquennio per l’ASPP e pari a 40 ore nel quinquennio per l’RSPP. È preferibile che il monte ore complessivo di aggiornamento sia distribuito nell’arco temporale del quinquennio. L’aggiornamento può essere ottemperato anche per mezzo della partecipazione a convegni o seminari, a condizione che essi trattino delle materie o i cui contenuti siano coerenti con le tematiche previste, e comunque per un numero di ore che non può essere superiore al 50 % del totale di ore di aggiornamento complessivo (ASPP: 10 ore, RSPP: 20 ore).

Ai fini dell’aggiornamento per RSPP e ASPP, la partecipazione a corsi di formazione:

  • finalizzati all’ottenimento e/o all’aggiornamento di qualifiche specifiche come quelle di dirigenti e preposti, di lavoratori incaricati alla gestione delle emergenze e al primo soccorso, non è valida a riconoscere il credito formativo
  • per l’ottenimento del modulo specialistico B (SP1, SP2, SP3, SP4), non è valida a riconoscere il credito formativo
  • per formatore per la sicurezza sul lavoro (decreto 6 marzo 2013), è valida a riconoscere il credito formativo
  • per l’aggiornamento a coordinatore per la sicurezza nei cantieri (CSP/CSE), è valida a riconoscere il credito formativo.

Conseguenze del mancato aggiornamento

L’aggiornamento della formazione per RSPP e ASPP è obbligatorio ed ha decorrenza quinquennale, a partire dalla conclusione del Modulo B- base. Per i soggetti esonerati invece, l’obbligo di aggiornamento quinquennale decorre o dal 15 maggio 2008 (data di entrata in vigore del decreto 81) o dalla data di conseguimento della laurea, se avvenuta dopo il 15 maggio 2008.

La data del 15 maggio 2018 (termine del secondo quinquennio di aggiornamento; il primo è scaduto il 15 maggio 2013) ha riguardato non tutti gli ASPP e RSPP, ma solo i soggetti esonerati dalla formazione alla data di entrata in vigore del decreto 81, poiché in possesso di laurea riconosciuta idonea.

Gli RSPP e ASPP, che non hanno maturato il credito formativo richiesto, devono, come conseguenza, sospendere temporaneamente lo svolgimento delle proprie funzioni. Con riguardo infatti all’Accordo Stato-Regioni del 25 luglio 2012, all’Interpello n. 15/2015 e all’Accordo 7 luglio 2016, l’ASPP o il RSPP, che non adempia l’obbligo di aggiornamento nei tempi previsti, perde la propria operatività, fino al completamento del monte ore di aggiornamento previsto.

Per poter esercitare la propria funzione, gli RSPP e gli ASPP devono, in ogni istante, poter dimostrare che in ogni quinquennio hanno partecipato a corsi di formazione, per un numero di ore non inferiore a quello minimo previsto. L’assenza della totale frequenza ai corsi di aggiornamento non fa comunque venir meno il credito formativo parziale nel frattempo maturato, ma solo il completamento dell’aggiornamento, pur se effettuato in ritardo, consente di ritornare a svolgere la funzione esercitata.

(Fonte IPSOA)

Costo del lavoro dipendente: premi INAIL e adempimenti delle aziende

0

I costi che il datore di lavoro è chiamato a sostenere, con riferimento ai rapporti di lavoro subordinato, sono composti, oltre che dalla contribuzione previdenziale, anche dagli oneri assistenziali dovuti all’INAIL e, in alcuni casi, alla Cassa edile. La determinazione del premio dovuto per la copertura dal rischio di infortuni e dalla malattia professionale è strettamente collegata alla tipologia di attività svolta dall’azienda e dalle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. Come si calcola il tasso di premio? Quando si ha diritto alle agevolazioni tariffarie per il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di igiene?

Il rapporto assicurativo con l’INAIL si costituisce automaticamente al verificarsi dei presupposti soggettivi e oggettivi stabiliti dalla legge, ovvero, di norma, all’atto della presentazione all’INAIL della denuncia dell’attività esercitata. A tutela dei lavoratori dipendenti, la legge prevede l’applicazione del principio dell’automaticità delle prestazioni: l’erogazione dell’indennità spettante al lavoratore avviene anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia provveduto al versamento dei contributi dovuti all’INAIL.

Iscrizione del datore di lavoro

Il datore di lavoro, contestualmente all’inizio della propria attività lavorativa, è tenuto a presentare, con modalità telematiche, all’INAIL la denuncia di esercizio per la valutazione dei rischi ed il calcolo del premio di assicurazione.

La denuncia deve contenere tutti gli elementi, le notizie e le indicazioni richiesti con i servizi telematici, ed in particolare l’attività esercitata, le lavorazioni svolte e l’ammontare annuo presunto delle retribuzioni dei lavoratori in relazione alle lavorazioni stesse.

N:B. Ogni variazione successiva alla presentazione della denuncia di iscrizione o di esercizio deve essere comunicata per via telematica all’INAIL.

Entro 30 giorni dalla data di presentazione della denuncia, l’INAIL rilascia il certificato di assicurazione e conteggio del premio in cui sono riportati:

  • l’attribuzione del codice ditta, il numero di Posizione assicurativa territoriale (PAT) ed il PIN per l’accesso ai servizi telematici
  • gli elementi per il calcolo del premio assicurativo, derivanti dalle specifiche attività denunciate, dai soggetti assicurati e dalle retribuzioni indicate
  • l’importo del premio dovuto e la relativa data di scadenza sulla base delle retribuzioni, effettive o convenzionali corrisposte durante il periodo assicurativo, e dal tasso del premio, determinato dalle lavorazioni dichiarate. Si tratta, dunque, della traduzione numerica della gravità del rischio della lavorazione. Le tariffe dei premi sono distinte per settore: industria; artigianato; terziario; altre attività.

Premi INAIL – Esempio di calcolo

Lavoratore dipendente, impiegato d’ufficio

Tasso di premio: 15 per mille

Retribuzione complessiva annuale: 20.000 euro

Premio INAIL: 20.000 / 1.000 x 15 = 300 euro.

Agevolazioni tariffarie

Con la circolare n. 13/2018, l’INAIL ha fornito le istruzioni operative per l’applicazione della riduzione dell’importo dei premi e contributi dovuti per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali applicabile a tutte le tipologie di premi e contributi oggetto di riduzione.

La riduzione è applicata per legge in attesa dell’aggiornamento delle tariffe dei premi e contributi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha stabilito che la riduzione dei premi e dei contributi di competenza dell’anno 2018 è pari al 15,81%: essa si applica, dunque, alla rata anticipata dovuta per il 2018 e alla regolazione o conguaglio dovuto per il medesimo anno, da versare con l’autoliquidazione nel 2019.

Con riferimento alle lavorazioni iniziate da non oltre un biennio, per i soggetti che hanno già presentato e per i quali è stata accettata nel corso del biennio la riduzione sarà applicata automaticamente, senza necessità di una ulteriore istanza.

Per il periodo successivo al primo biennio, le aziende possono ottenere l’oscillazione del tasso per prevenzione: l’INAIL premia con uno “sconto” denominato “oscillazione per prevenzione” (OT/24), le aziende che eseguono interventi per il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di igienenei luoghi di lavoro, in aggiunta a quelli minimi previsti dalla normativa in materia (D.L. n. 81/2008 e s.m.i.).

La riduzione di tasso è riconosciuta in misura fissa, in relazione al numero dei lavoratori-anno del periodo, come segue:

Lavoratori-anno  Riduzione

fino a 10 28%

da 11 a 50 18%

da 51 a 200 10%

oltre 200 5%

Le aziende in possesso dei requisiti per il rilascio della regolarità contributiva ed assicurativa ed in regola con le disposizioni obbligatorie in materia di prevenzione infortuni e di igiene del lavoro (pre-requisiti), possono presentare domanda. La regolarità in materia di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro deve essere rispettata con riferimento alla situazione presente alla data del 31 dicembre dell’anno precedente quello cui si riferisce la domanda.

L’azienda, inoltre, nell’anno precedente a quello in cui chiede la riduzione, deve aver effettuato interventi di miglioramento nel campo della prevenzione degli infortuni e igiene del lavoro.

N.B. La riduzione riconosciuta dall’INAIL opera solo per l’anno nel quale è stata presentata la domanda ed è applicata dall’azienda stessa, in sede di regolazione del premio assicurativo dovuto per lo stesso anno

Contribuzione e accantonamento presso le Casse edili

Le Casse edili sono enti paritetici che operano a livello provinciale, finanziate esclusivamente dai contributi a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore edile.

La nascita delle Casse edili e la loro attività è stata resa necessaria a causa delle pecularità del settore edile, un settore caratterizzato dalla frammentazione delle imprese, in cui le ridotte dimensioni aziendali e la mancanza di continuità nei rapporti di lavoro hanno richiesto l’introduzione di strumenti di tutela specifici, integrativi di quelli pubblici.

Le Casse edili assicurano ai lavoratori del settore l’erogazione di una serie di prestazioni retributive:

  • le mensilità aggiuntive
  • le ferie
  • gli scatti di anzianità, che presupponendo l’occupazione per un tempo minimo nella stessa impresa, riuscirebbero difficilmente a maturare a causa della elevata mobilità e discontinuità dei rapporti di lavoro, causati dalla durata temporanea dei cantieri.

Il datore di lavoro edile deve versare alla Cassa mensilmente:

  • gli accantonamenti, pari all’8,50% per il pagamento agli operai sia delle Ferie e al 10% per la corresponsione della Gratifica Natalizia;
  • i contributi, con aliquota variabile per provincia dal 7 al 10%, inclusa la quota posta a carico del lavoratore che varia tra l’1% e l’1,50%.

Esempio di calcolo

Retribuzione oraria contrattuale: 10,50

Retribuzione lorda: 10,5 x 168 = 1764 euro

Maggiorazione cassa edile 1764/100x 18,5% = 326,34

Contributo cassa edile c/dipendente = 1764/100 x 0,42% = 7,4

Imponibile contributivo = 2.082,94 euro

Ritenute previdenziali c/dipendente = 197,58 euro

Imponibile fiscale = 1.885,36 euro

Imposte sul reddito = 350 euro

Accantonamento cassa edile = 240,48 euro

Retribuzione netta corrisposta = 1.294,88

Domande e soluzioni

Anche per i tirocinanti è necessario versare il premio INAIL?

I soggetti promotori sono tenuti ad assicurare i tirocinanti contro gli infortuni sul lavoro presso l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), nonché presso idonea compagnia assicuratrice per la responsabilità civile verso terzi. Le coperture assicurative devono riguardare anche le attività eventualmente svolte dal tirocinante al di fuori dell’azienda e rientranti nel progetto formativo e di orientamento

Come e quando è possibile sospendere l’iscrizione in Cassa edile?

Nel caso in cui l’impresa non abbia manodopera occupata, cantieri attivi nelle Province di gestione della Cassa o in caso di trasferimento dei lavoratori in altra Provincia per lavori edili, per un periodo superiore ai 90 giorni, può essere richiesta la temporanea sospensione della posizione in Cassa Edile.

Quando si raggiunge il diritto alla liquidazione dell’APE?

Il diritto alla liquidazione si raggiunge quando la Cassa ha registrato a favore dell’operaio almeno 2.100 ore in un biennio (ore lavorate, di malattia, infortunio, 88 ore per mese di servizio militare, 88 per congedo matrimoniale).Si tiene conto degli scatti biennali (ogni due anni l’importo orario aumenta fino ad un massimo di cinque scatti) e della qualifica, sulla base delle ore normali lavorate nell’anno precedente quello di liquidazione.

(Fonte Ipsoa)

Welfare aziendale: e se l’azienda copre le spese di trasporto solo ad uno o più dipendenti?

0

Il datore di lavoro può, volontariamente o in esecuzione di un contratto collettivo, rimborsare le spese sostenute dal lavoratore per l’acquisto di abbonamenti per il trasporto pubblico (locale, regionale e interregionale) per sé o per i propri familiari. Tali spese di trasporto possono, inoltre, essere indennizzate con l’anticipazione di somme in denaro o con l’acquisto diretto dei titoli di viaggio da parte dell’azienda. Condizione imprescindibile affinché le assegnazioni non entrino a far parte dell’imponibile fiscale è che le stesse siano destinate alla generalità dei lavoratori o a determinate categorie di essi. Cosa succede se, diversamente, sono riconosciute a uno o più dipendenti?

Tra le recenti novità introdotte dalla legge di Bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205), merita una particolare menzione la modifica apportata all’art. 51, D.P.R. n. 917/1986 (TUIR) in materia di welfare aziendale.

La legge di Bilancio ha infatti introdotto al comma 2 della richiamata disposizione, la lettera d-bis), a mezzo della quale è stata prevista la possibilità per il datore di lavoro di riconoscere – volontariamente o in esecuzione di un contratto collettivo (sia di primo che di secondo livello) – il rimborso delle spese sostenute dal lavoratore per l’acquisto di abbonamenti per il trasporto pubblico (locale, regionale e interregionale) per sé o per i propri familiari.

Oltre al rimborso al dipendente, le summenzionate spese di trasportopossono anche essere indennizzate attraverso l’anticipazione di somme in denaro, ovvero attraverso l’acquisto diretto dei titoli di viaggio da parte del datore. Tuttavia, condizione imprescindibile affinché tali assegnazioni non entrino a far parte dell’imponibile è che le stesse siano destinate alla generalità dei lavoratori o a determinate categorie di essi.

Inoltre, come specificato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 5/E del 29 marzo 2018, per garantire l’esclusione dal reddito di lavoro dipendente della misura in discorso è altresì necessario che il datore di lavoro acquisisca e conservi la documentazione attestante il corretto utilizzo delle somme da parte del lavoratore, coerentemente con le finalità per le quali le stesse sono state corrisposte.

Vantaggi per il lavoratore e il datore di lavoro

La possibilità più sopra descritta, oltre a costituire un importante incentivo all’utilizzo dei mezzi pubblici per gli spostamenti quotidiani, rappresenta un indubbio vantaggio economico per il lavoratore (oltreché per il datore), il quale – se destinatario diretto della misura in discorso – gioverebbe della riduzione del costo relativo al trasporto per recarsi a lavoro.

Quanto appena detto determina una sostanziale inversione di tendenza rispetto al passato, in cui il regime agevolato dell’esenzione dal reddito imponibile era circoscritta al valore delle prestazioni di servizi di trasporto collettivo offerte dall’azienda – direttamente o per il tramite soggetti terzi – all’intera platea dei dipendenti, ovvero a specifiche categorie di lavoratori.

In ogni caso, sia nella prima che nella seconda ipotesi, il requisito della generalità risulta dirimente rispetto all’imponibilità o meno delle prestazioni riconosciute.

Benefici per uno o più dipendenti

Cosa accade quindi nell’ipotesi in cui tale criterio non risulti rispettato, ovvero laddove il datore intenda riconoscere la copertura delle spese di trasporto soltanto ad uno o più dipendenti?

La soluzione a tali quesiti non è univoca e dipende sostanzialmente dalla modalità di indennizzo adottata dal datore di lavoro stesso. Infatti, nell’ipotesi in cui le spese affrontate dal lavoratore nel tragitto casa-lavoro vengano compensate con l’erogazione di una determinata somma di denaro, la stessa risulterà interamente imponibile, costituendo un trattamento economico aggiuntivo rispetto a quello previsto dalle norme contrattuali.

Viceversa, laddove per il compimento del tragitto casa-lavoro il datore metta a disposizione del lavoratore un servizio di trasporto (anche attraverso la corresponsione del titolo di viaggio), tale ipotesi soggiacerà alla disciplina di cui all’art. 51, comma 3, TUIR, la quale prevede l’esenzione dal reddito imponibile del valore dei beni ceduti o dei servizi prestati se complessivamente non superiore nel periodo d’imposta a 258,23 euro. Tuttavia, nell’ipotesi in cui il valore ecceda la richiamata soglia di legge, lo stesso concorrerà alla formazione dell’imponibile per il suo intero valore.

Le altre questioni aperte

Oltre al problema appena evidenziato collegato al trattamento contributivo e fiscale delle somme e dei servizi riconosciuti dal datore per la copertura del tragitto casa-lavoro, con lo spostamento quotidiano del lavoratore si pone l’ulteriore questione relativa alla rilevanza (ed al conseguente trattamento economico) dei tempi necessari al dipendente a raggiungere la propria sede lavorativa, anche nell’occasione di lavoro in trasferta.

Tale aspetto, finito più volte sotto la lente di ingrandimento del giudice – anche comunitario – , sarà oggetto di un prossimo intervento in cui verranno esaminate le varie eventualità connesse allo spostamento del dipendente, tenuto anche conto di quanto previsto in materia da alcuni contratti collettivi.

(Fonte IPSOA)

Assegni per il nucleo familiare: quando e come il datore di lavoro deve erogarli

0

L’INPS ha reso noti i livelli di reddito familiare per la corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare – ANF dal 1° luglio 2018 al 30 giugno 2019. La rivalutazione è stata operata sulla base della variazione percentuale dell’indice dei prezzi al consumo calcolata dall’ISTAT tra il 2016 e il 2017 ed è pari a +1,1 per cento. L’ANF è una prestazione corrisposta ai lavoratori dipendenti, ai parasubordinati e ai pensionati. La concessione e la misura dell’assegno dipendono dal numero dei componenti il nucleo familiare e dai redditi complessivi posseduti. Come si calcola? Quando il datore di lavoro è tenuto ad erogarlo?

Con la circolare n. 68/2018, l’INPS ha diramato le tabelle dei limiti reddituali per ottenere l’assegno nucleo familiare per il periodo dal 1° luglio 2018 al 30 giugno 2019. La materia è regolata dalla legge n. 153/88 la quale prevede che i livelli di reddito familiare per la corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare sono rivalutati annualmente, con effetto dal 1° luglio di ciascun anno, in misura pari alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, calcolato dall’ISTAT, intervenuta tra l’anno di riferimento dei redditi per la corresponsione dell’assegno e l’anno immediatamente precedente.

A tal proposito, la variazione percentuale dell’indice dei prezzi al consumo calcolata dall’ISTAT tra l’anno 2016 e l’anno 2017 è risultata pari a +1,1 per cento; tenendo conto di tale variazione, sono stati rivalutati i livelli di reddito delle tabelle contenenti gli importi mensili degli assegni al nucleo familiare, in vigore per il periodo 1° luglio 2018 – 30 giugno 2019.

E’ da sottolineare che, la prestazione in esame è stata interessata da una serie di interventi che spesso, creano confusione negli operatori ed anche negli stessi soggetti aventi diritto.

Vediamo di fare ordine sulla materia, evidenziando gli aspetti principali e soffermarci su alcune questioni di particolare importanza.

Assegni per il nucleo familiare

L’ANF è una prestazione istituita per aiutare le famiglie dei lavoratori dipendenti, parasubordinati e pensionati titolari di prestazione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei dipendenti, che hanno un reddito complessivo al di sotto delle fasce stabilite ogni anno per legge.

La concessione o meno e la misura dell’assegno dipendono dal numero dei componenti il nucleo familiare e dai redditi complessivi da essi posseduti. L’assegno per il nucleo familiare è concesso a domanda dell’interessato e può essere richiesto se il reddito complessivo del nucleo familiare, costituito almeno per il 70% da lavoro dipendente, non supera i limiti stabiliti ogni anno dalla legge.

A chi spettano

L’ANF spetta, ai lavoratori dipendenti:

  • italiani e stranieri, dipendenti da aziende italiane operanti in Italia, o all’estero in Paesi convenzionati
  • occupati a tempo parziale (part-time)
  • soci di cooperativa che lavorano alle dipendenze della stessa detenuti, dipendenti dell’amministrazione penitenziaria o di ditte private appaltatrici dei lavori
  • in congedo matrimoniale, in aspettativa per cariche pubbliche elettive e sindacali, richiamati alle armi;
  • a domicilio
  • ai caratisti, agli armatori e ai proprietari armatori imbarcati su navi da pesca da loro stessi armate;

ai titolari di una prestazione temporanea:

  • disoccupati indennizzati
  • cassintegrati
  • in mobilità
  • impiegati in lavori socialmente utili
  • assenti per malattia con almeno 1 settimana di lavoro prestato nei 30 giorni precedenti l’evento morboso
  • maternità
  • in malattia tubercolare
  • assente per infortunio per un massimo di 90 giorni per ogni singolo evento (con esclusione delle ricadute e postumi da pregresso infortunio).

Per cosa può essere richiesto

L’assegno per il nucleo familiare può essere richiesto solo su una prestazione lavorativa o previdenziale pensionistica e non pensionistica. Può essere richiesto anche sulla prestazione lavorativa o previdenziale dell’altro coniuge solo se il richiedente stesso, affidatario dei figli, risulta separato, divorziato, oppure disoccupato non titolare di prestazione previdenziale.

A chi spetta

Spetta al nucleo familiare in base al numero dei componenti che ne fanno parte, anche se non conviventi.

E’ richiesta la convivenza per i figli naturali, legalmente riconosciuti da entrambi i genitori e i figli affidati dall’autorità giudiziaria a seguito di separazione.

L’importo

L’ammontare dell’assegno per il nucleo familiare varia in base:

  • al reddito dell’anno solare precedente
  • al numero dei componenti il nucleo familiare
  • alla tipologia del nucleo familiare (presenza di minori, inabili, un solo genitore, ecc.).

Decorrenza e variazione

In caso di inizio o cessazione del rapporto di lavoro nel corso del mese, o comunque in data diversa da quella del periodo di paga adottato, l’assegno spetta a decorrere rispettivamente dal e fino al giorno di inizio o fine del rapporto di lavoro.

Nuclei numerosi

Il legislatore si è occupato, in maniera particolare, dei nuclei con più figli. Nell’ipotesi di nuclei familiari con più di tre figli o equiparati di età inferiore a 26 anni compiuti, l’art. 1, comma 11, lett. d), della legge 296/2006, ai fini della determinazione dell’assegno, considera rilevanti al pari dei figli minori anche i figli studenti o apprendisti di età superiore a 18 anni compiuti ed inferiore a 21 anni compiuti. In merito all’individuazione dei nuclei destinatari della norma, è necessario considerare tutti i figli ed equiparati ex art. 38 del DPR n. 818/57 presenti nel nucleo familiare, di età inferiore a 26 anni, senza tener conto del carico fiscale, dalla convivenza, dello stato civile e dalla qualifica (studente, apprendista, lavoratore, disoccupato). Infatti, rileva a tal fine il solo stato di figlio o equiparato ex art. 38 citato.

Di conseguenza, bisognerà valutare che nel nucleo siano presenti almeno 4 figli di età inferiore a 26 anni, in quanto la regola non trova più applicazione se si verifica una variazione nella composizione del nucleo familiare che dia luogo alla perdita del requisito di almeno quattro figli o equiparati di età inferiore a 26 anni compiuti.

In presenza dei presupposti di cui fatto cenno in precedenza, rilevano al pari dei figli minori entrando a far parte del nucleo familiare ai fini dell’assegno, anche i figli tra i 18 ed i 21 anni, purché studenti o apprendisti. Ne deriva, che i figli tra i 18 ed i 21 anni studenti o apprendisti sono equiparati ai figli minori anche ai fini dell’applicazione delle tabelle relative agli assegni per il nucleo familiare ed i redditi percepiti dagli stessi dovranno essere conteggiati per la determinazione del reddito complessivo del nucleo familiare.

Saranno esclusi dal numero dei componenti e dalla determinazione del reddito familiare, oltre ai figli di età compresa tra i 18 e i 21 anni, non aventi la qualità di studente o la qualifica di apprendista, anche i figli di età compresa tra i 21 e i 26 anni, anche se studenti o apprendisti, i quali rilevano solo ai fini dell’individuazione del nucleo numeroso.

Per studente deve intendersi il figlio o equiparato che frequenta una scuola pubblica o legalmente riconosciuta, secondaria di primo o secondo grado, un corso di formazione professionale o di laurea.

Venendo meno il requisito del numero dei figli (almeno 4) di età inferiore a 26 anni o con la perdita della qualifica di studente o di apprendista o con il compimento del ventunesimo anno di età, tale equiparazione cessa e i figli ultradiciottenni vengono esclusi dal nucleo familiare, tranne che si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro.

Per quanto concerne l’erogazione dell’assegno ai figli ed equiparati di età compresa tra i 18 e 21 anni studenti o apprendisti, sarà necessario ottenere l’autorizzazione dell’INPS in base alle modalità attualmente vigenti per le altre fattispecie per le quali è previsto il rilascio di apposita autorizzazione.

Ricorrendo i requisiti, le autorizzazioni avranno validità annuale, tenendo conto che verrà meno il diritto alla prestazione per il soggetto che compia il ventunesimo anno di età o per il quale scada il contratto di apprendistato o per il quale venga meno uno dei requisiti che danno titolo alla prestazione.

Coniuge avente diritto

L’art. 1, comma 559 della legge 311/2004, ha stabilito che, a decorrere dal periodo di paga in corso al 1° gennaio 2005, l’assegno per il nucleo familiare viene erogato al coniuge dell’avente diritto. Con decreto del 4 aprile 2005, sono state dettate le disposizioni di attuazione. Legittimato all’esercizio del diritto è il coniuge non titolare di un autonomo diritto alla corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare, ossia il coniuge che non ha un rapporto di lavoro dipendente ovvero non è titolare di pensione o di prestazione previdenziale derivante da lavoro dipendente. Con ciò s’intende che l’accertamento dei requisiti che danno titolo al riconoscimento del diritto ed alla determinazione dell’importo dell’assegno continua ad avvenire in base alle disposizioni vigenti in materia con riferimento all’avente diritto e che il dettato del comma 559 riguarda esclusivamente l’erogazione materiale della prestazione relativa all’intero nucleo familiare.

Si sottolinea che tale diritto può essere esercitato anche dal coniuge dei soggetti iscritti alla gestione separata dei lavoratori autonomi, di cui all’art. 2, comma 26 della legge 335/95.

Il coniuge dell’avente diritto che intenda avvalersi della norma di cui trattasi deve presentare apposita domanda, nel caso in cui la prestazione sia erogata da quest’ultimo per conto dell’INPS; nelle ipotesi in cui l’Istituto eroga direttamente l’assegno, la domanda andrà formulata sui modelli inoltrati all’INPS per le diverse prestazioni.

Pagamento dell’ANF per periodi pregressi

In merito a tale questione l’INPS ha precisato (messaggio 12790/2006) che il datore di lavoro, anche in caso di richiesta successiva alla risoluzione del rapporto di lavoro, è obbligato al pagamento dell’assegno per il nucleo familiare.

Si pone il problema della competenza al pagamento dell’assegno per il nucleo familiare per periodi pregressi durante i quali il lavoratore è stato occupato presso un datore di lavoro diverso da quello presso il quale lavora al momento in cui intende inoltrare la domanda di prestazione (ovvero al momento stesso non occupato). A tal proposito, viene ricordato che le norme (art. 37 del DPR 797/1955, così come modificato dall’art. 8 della legge 1038/1961) stabiliscono l’obbligo nei confronti del datore di lavoro di anticipare, per conto dell’INPS, la prestazione familiare.

In particolare, tale obbligo sussiste anche nell’ipotesi in cui la richiesta della stessa prestazione sia successiva alla data di risoluzione del rapporto di lavoro, ma riguardi periodi pregressi, per quel datore di lavoro, alle cui dipendenze il lavoratore stesso prestava attività nel periodo oggetto della richiesta; in ogni caso, l’azienda deve essere ancora in vita e non essere cessata o fallita.

Prescrizione

E’ da ricordare, che in base alle norme vigenti, il lavoratore può far valere il proprio diritto nell’ambito della prescrizione quinquennale, con la conseguenza che il datore di lavoro non può evitare la corresponsione della prestazione dell’ANF presentata da un ex dipendente nel termine della prescrizione quinquennale.

Lo stesso termine quinquennale di prescrizione, si applica per quanto concerne il diritto del datore di lavoro per richiedere il rimborso dell’assegno per il nucleo familiare erogato ai propri dipendenti, che per quanto concerne l’assegno per il nucleo familiare per periodi pregressi, scatta dalla data in cui è stato corrisposto.

Se il datore di lavoro si rifiuti di corrispondere l’assegno ad un ex dipendente, la sede INPS competente per territorio cui perviene la denuncia di tale inadempienza, dopo aver esperito infruttuosamente ogni formalità idonea ad interessare il datore di lavoro stesso, dovrà segnalare l’azienda alla Direzione Provinciale del Lavoro, ora DTL, per i provvedimenti di competenza.

Quando verrà stabilita l’impossibilità per il lavoratore di ricevere quanto dovuto a titolo di assegno per il nucleo familiare da parte del datore di lavoro, la sede periferica dell’Istituto competente in merito agli adempimenti previdenziali effettuati dal datore di lavoro, potrà provvedere al pagamento diretto della stessa prestazione.

(Fonte IPSOA)

Apprendistati efficaci e di qualità: l’Europa definisce criteri comuni

0

L’apprendistato è uno strumento essenziale dei sistemi di istruzione e formazione professionale, che rafforza il legame tra il mondo del lavoro e dell’istruzione, assicurando benefici sia agli apprendisti-discenti, sia ai datori di lavoro. E’ da queste considerazioni che prende le mosse l’accordo siglato dagli Stati membri UE per “apprendistati efficaci e di qualità”. L’accordo, che ha preso la forma di una raccomandazione, incoraggia la creazione di professionalità altamente qualificate in grado di rispondere alle esigenze del mercato e prevede criteri comuni per le condizioni di apprendimento e di lavoro: quali?

La Commissione europea, nell’ottobre 2017, ha dato vita ad un’iniziativa per promuovere l’apprendistato in Europa consacrata nella proposta di un quadro europeo per apprendistati efficaci e di qualità che ha assunto – nel 2018 – la forma di una raccomandazione del Consiglio UE e che ha preso spunto, da un lato, da quanto previsto dalla Nuova agenda per le competenze per l’Europa lanciata nel giugno 2016, e dall’altro, dai principi cardine dell’Unione che incardinano nel pilastro europeo dei diritti sociali, il ruolo fondante del diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi. 14 sono i criteri fondamentali a cui gli Stati membri e le parti interessate dovrebbero attenersi per sviluppare apprendistati efficaci e qualitativamente validi affinchè si produca un aumento della occupabilità e dello sviluppo personale degli apprendisti contribuendo alla creazione di manodopera altamente qualificata e preparata, in grado di soddisfare le esigenze del mercato del lavoro.

Dunque, per la Commissione, è imprescindibile che l’esperienza lavorativa e formativa che passa per l’apprendistato venga migliorata – sempre nel pieno rispetto dei sistemi scolastici e di formazione dei Paesi membri – affinchè i giovani la possano utilizzare sempre più come corsia preferenziale di accesso al mondo del lavoro e i datori di lavoro ne beneficino in modo maggiore e con maggiore soddisfazione.

La parte teorica che si apprende sui banchi di scuola deve essere in grado di sposarsi con la pratica, con il reale mondo del lavoro allo scopo di facilitare la transizione dalla scuola al mercato del lavoro aumentando, attraverso l’apporto di nuovi capitali umani e know-how, la competitività dei sistemi di mercato e dell’economia.

I sette criteri per valutare gli apprendistati

Ai fini della valutazione della qualità e dell’efficacia di un apprendistato, la Commissione ha definito sette criteri per le condizioni di apprendimento e di lavoro:

1) contratto scritto

2) risultati di apprendimento

3) supporto pedagogico

4) componente del posto di lavoro

5) retribuzione e/o compenso

6) protezione sociale

7) condizioni di lavoro e condizioni di salute e di sicurezza.

Le sette condizioni-quadro

Sette sono anche i criteri per le condizioni-quadro:

1) quadro di regolamentazione

2) partecipazione delle parti sociali

3) sostegno alle imprese

4) percorsi flessibili e mobilità

5) orientamento professionale e sensibilizzazione

6) trasparenza

7) assicurazione qualità e monitoraggio dei percorsi di carriera.

Finanziamenti e mobilità

La Commissione promuove l’applicazione di tali criteri tramite opportuni finanziamenti europei. I dati rilasciati nell’ottobre 2017 indicavano che il Fondo sociale europeo attribuisce all’istruzione e alla formazione fino a 27 miliardi di EUR, mentre l’UE sostiene gli apprendistati anche attraverso diversi altri strumenti. Inoltre, l’Alleanza europea per l’apprendistato ha reso disponibili 750.000 posti per i giovani e almeno 390.000 posti di apprendistato erano già stati offerti nel quadro della Garanzia per i giovani, in quanto l’apprendistato è una delle quattro opzioni che dovrebbero essere offerte ai giovani dopo quattro mesi di disoccupazione.

Da ricordare anche il programma Erasmus+ che promuove la mobilità degli apprendisti e include una nuova iniziativa ErasmusPro finalizzata a sostenere nel periodo 2018-2020 il collocamento presso imprese all’estero di 50 000 studenti che frequentano corsi di formazione professionale.

La raccomandazione del Consiglio UE

Ed è in questo contesto che si inserisce l’Accordo siglato a marzo 2018 dai partners europei sul tema dell’apprendistato e che, come detto, ha preso la forma di una raccomandazione.

La raccomandazione incoraggia la creazione di una forza lavoro altamente preparata e qualificata in grado di rispondere alle esigenze del mercato. Applicando criteri comuni in materia di qualità ed efficacia degli apprendistati, gli Stati membri saranno maggiormente in grado di elaborare e promuovere i loro programmi nazionali di apprendistato.

La raccomandazione indica – e qui ci sono i punti di contatto con i criteri emessi dalla Commissione e ripresi sopra – che dovrebbe essere concluso un accordo scritto per definire i diritti e gli obblighi dell’apprendista, del datore di lavoro e, se del caso, dell’istituto di istruzione e formazione professionale nell’ambito di un quadro di regolamentazione chiaro e coerente.

Dovrebbero inoltre esserci risultati chiari che conducono a qualifiche riconosciute. Gli apprendisti dovrebbero ricevere una retribuzione o un compenso di altro tipo gli apprendisti e dovrebbero avere diritto alla protezione sociale. Dovrebbe essere fornito orientamento professionale, tutoraggio e sostegno agli apprendisti prima e durante l’apprendistato al fine di garantire risultati positivi e, infine, dovrebbe essere fornito supporto pedagogico a insegnanti, formatori e tutor, in particolare nelle micro, piccole e medie imprese. Il quadro rispetta i contenuti delle comunicazioni sulla nuova agenda per le competenze per l’Europa e su Investire nei giovani d’Europa, e contribuisce al pilastro europeo dei diritti sociali.

Durante la terza settimana europea della formazione professionale, che avrà luogo nel mese di novembre 2018, la Commissione avvierà nuovi servizi di sostegno all’apprendistato, che contribuiranno ad attuare il quadro.

(Fonte IPSOA)