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Accordi conciliativi in materia di lavoro: quali somme non possono più essere pagate in contanti?

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Dal 1° luglio 2018 le aziende non potranno più pagare le retribuzioni in contanti. L’obbligo di tracciabilità si estende anche alle ipotesi in cui le retribuzioni ed i compensi vengano erogati a seguito di un accordo conciliativo tra datore di lavoro e lavoratore (anche postumo alla cessazione del rapporto di lavoro) stipulato presso le sedi “istituzionali” previste. Saranno i funzionari/giudici preposti alla redazione dell’atto conciliativo a scindere le somme erogate a titolo retributivo dalle altre corrisposte per finalità diverse. In attesa delle specifiche indicazioni dell’Ispettorato nazionale del lavoro, come fare ad identificare le somme soggette all’obbligo di tracciabilità?

Da luglio 2018 scatta il divieto di pagare le retribuzioni per mezzo di denaro contante. Detto divieto, previsto dall’articolo 910 e ss., della legge di Bilancio 2018 (legge n. 205 del 27 dicembre 2017), riguarda tutte le tipologie contrattuali di lavoro subordinato, indipendentemente dalla brevità del rapporto di lavoro.
Parliamo dei rapporti di lavoro subordinati a tempo indeterminato, determinato, intermittente, somministrazione (da parte dell’Agenzia per il lavoro al lavoratore), apprendistato ed i soci di cooperativa (ai sensi della legge 3 aprile 2001, n. 142).

Inoltre, la disposizione estende il divieto anche ai compensi erogati ai collaboratori coordinati e continuativi (disciplinati ai sensi dell’articolo 409 c.p.c. e dell’articolo 2, del decreto legislativo n. 81/2015).

Vengono fatte salve le retribuzioni erogate nei rapporti di lavoro instaurati con le Pubbliche Amministrazioni (di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) e nei rapporti di lavoro domestico; anche se in questi casi, comunque, va rispettata la normativa generale (articolo 49, comma 1, del decreto legislativo n. 231 del 21 novembre 2007) che prevede il divieto al trasferimento di denaro contante qualora sia di importo pari o superiore a 3.000 euro.

Accordi conciliativi e tracciabilità

La riflessione che segue attiene ai casi in cui le retribuzioni ed i compensi vengono erogati a latere di un accordo conciliativo, anche postumo alla cessazione del rapporto di lavoro. Ciò in quanto, a mio avviso, anche detti importi, qualora considerati retribuzione dall’accordo stesso, devono soggiacere alle nuove prescrizioni normative e come tale dovranno essere erogati esclusivamente attraverso una delle modalità di pagamento tracciabili previste dal legislatore.

Per accordo conciliativo, si deve intendere qualsiasi accordo formulato tra le parti (azienda e lavoratore) che preveda l’erogazione, da parte del datore di lavoro/committente al lavoratore/collaboratore, di una somma il cui titolo è di natura retributiva.

A mero titolo esemplificativo, rientrano in questa categoria le somme erogate per:

  • straordinario
  • maggiori retribuzioni
  • maggiori compensi
  • diverso inquadramento e/o diverse mansioni
  • maggiorazioni per lavoro festivo
  • maggiorazioni per lavoro notturno
  • indennità di qualsiasi genere
  • trattamenti premiali ed incentivanti
  • ferie non godute
  • trattamento di fine rapporto o sua integrazione.

Non rientrano, viceversa, nell’obbligo della tracciabilità, le somme che non sono considerate, dall’accordo conciliativo, mera retribuzione, come, ad esempio:

  • l’incentivo all’esodo
  • la transazione semplice e la transazione novativa a seguito di controversie di lavoro, sempreché l’Inps non valuti dette somme reddito di lavoro dipendente, in quanto conservano funzione di corrispettivo, sia pure indiretto, di obbligazioni che trovano titolo nel rapporto di lavoro (v. circolare Inps n. 6/2014)
  • il rimborso spese (qualora la spesa sia documentata)
  • il risarcimento danni (professionale, morale, di immagine, biologico, d’onore, alla capacità lavorativa generica e specifica, ecc.)
  • il pagamento delle spese legali.

Come si stipulano

Per quanto riguarda le sedi idonee a stipulare gli accordi conciliativi, che prevedano l’erogazione di somme riguardanti rapporti di lavoro ancora in essere o già cessati, rientrano anche sedi “istituzionali”, tra le quali:

  • la Commissione di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del lavoro, ai sensi dell’articolo 410 del c.p.c.;
  • la Conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell’articolo 411 del c.p.c.;
  • la Conciliazione Monocratica presso l’Ispettorato territoriale del lavoro, ai sensi dell’articolo 11, del decreto legislativo n. 124/2004;
  • la Conciliazione dinanzi al Giudice Istruttore, ai sensi dell’articolo 185 del c.p.c.;
  • la Commissione di conciliazione presso la Commissione di Certificazione, per i contratti di lavoro certificati, ai sensi dell’articolo 80 del decreto legislativo n. 276/2003.

In tutte queste sedi, i vari funzionari/giudici preposti alla redazione dell’atto conciliativo, dovranno scindere le somme erogate a titolo retributivo, le quali dovranno essere pagate esclusivamente con modalità certe e tracciabili, da eventuali altre somme erogate per finalità diverse e che non subiscono il nuovo obbligo legislativo (sempre nel limite massimo dei 2.999,99 euro, vedi articolo 49, comma 1, del decreto legislativo n. 231/2007).

Considerazioni finali

Mi aspetto, in tal senso, un intervento da parte dell’Ispettorato del Lavoro, attraverso una circolare esplicativa, che chiarisca la situazione e preveda un controllo nella stesura dei verbali conciliativi di propria competenza (conciliazione ordinaria e monocratica), in merito all’adempimento retributivo, in capo al datore di lavoro, con le sole modalità di pagamento tracciabili previste dal legislatore e che di seguito di specificano:

  • bonifico (bancario o postale) sul conto – identificato dal codice IBAN – indicato dal lavoratore
  • strumenti di pagamento elettronico
  • pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento
  • emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.Viene considerato comprovato l’impedimento qualora il delegato sia: il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purché di età non inferiore a 16 anni.

Sanzioni

Ricordo, infine, la sanzione prevista dal legislatore in caso di violazione alla norma: qualora il datore di lavoro o il committente paghi la retribuzione/compenso, o quota parte di essa, per mezzo di denaro contante è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro.

(Fonte IPSOA)

Appalti privati: responsabilità solidale anche per i liberi professionisti

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La responsabilità solidale nel contratto di appalto prevede che, se non paga il datore di lavoro (appaltatore o subappaltatore) paga chi, di fatto, si avvantaggia della prestazione dei lavoratori impiegati nell’appalto (committente). Rappresenta una forma di “garanzia fidejussoria” a favore dei crediti vantati dai lavoratori, dall’INPS, dall’INAIL ed eventualmente dalla Cassa Edile. Il vincolo di corresponsabilità si applica anche ai professionisti intellettuali che stipulino contratti d’appalto per l’esercizio della loro attività. Resta, invece, escluso nel caso in cui il committente sia una persona fisica che non esercita attività d’impresa. Quando e come si applica il regime di responsabilità solidale?

Una delle problematiche che caratterizzano in generale l’appalto è quella del regime di responsabilità solidale che caratterizza i vari soggetti coinvolti nella procedura (committente, appaltatore ed eventuale subappaltatore). La responsabilità solidale che contraddistingue il contratto di appalto, prevede, in pratica che se non paga il datore di lavoro (appaltatore o subappaltatore) paga chi, di fatto, si avvantaggia della prestazione dei lavoratori impiegati nell’appalto (committente). Si tratta di una sorta di “garanzia fidejussoria” prevista ex lege a favore dei crediti vantati dai lavoratori e dagli Istituti (INPS, INAIL ed eventualmente Cassa Edile).

Cosa prevede la disciplina codicistica

L’art. 1676 del Codice civile prevede che i dipendenti dell’appaltatore possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino a concorrenza del debito del committente verso l’appaltatore.

Questa disciplina non trova applicazione soltanto agli appalti privati ma si estende anche a quelli pubblici. Essa, tuttavia, rispetto alla disciplina dell’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 di cui si dirà appresso, ha tre rilevanti limitazioni:

  • Riguarda soltanto il lavoro subordinato (e non anche altre tipologie contrattuali quali, ad esempio, il lavoro parasubordinato)
  • L’oggetto è circoscritto al solo trattamento economico dovuto dall’appaltatore ai propri dipendenti, con esclusione quindi degli oneri previdenziali ed assicurativi
  • La quantificazione del debito solidale si riferisce esclusivamente a quanto dovuto dal committente all’appaltatore al momento della presentazione, da parte dei lavoratori interessati, della domanda giudiziale, con la conseguenza che il committente non è solidalmente tenuto nei confronti dei lavoratori se – nelle more
  • estingue il proprio debito nei confronti dell’esecutore dei lavori.

Si tratta, pertanto, di uno strumento poco proficuo per il soddisfacimento delle eventuali pretese creditorie avanzate dai dipendenti dell’appaltatore.

Le tutele del decreto Biagi

Con specifico riguardo al regime di responsabilità solidale nell’ambito retributivo, previdenziale ed assicurativo la disciplina di riferimento è oggi rappresentata dall’art. 29, comma 2 del D.Lgs. n. 276/2003. In base all’odierno testo è previsto che, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro resti obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il termine decadenziale di 2 anni dalla cessazione dell’appalto, al pagamento:

  • Dei trattamenti retributivi e previdenziali dei lavoratori impiegati nell’appalto
  • Delle quote del trattamento di fine rapporto maturato dai lavoratori ivi impiegati, limitatamente al periodo di esecuzione del contratto stesso
  • Dei premi assicurativi, anche in questo caso si tratta solo di quelli maturati nel corso del periodo d’esecuzione del contratto d’appalto;
  • Delle somme dovute a titolo di interesse sui debiti previdenziali (o fiscali) e le somme dovute a titolo di sanzioni civili;

Restano, invece, escluse dal vincolo solidaristico le somme dovute ad altro titolo (es. sanzioni amministrative) di cui risponde, pertanto, il solo datore di lavoro responsabile dell’inadempimento (MLPS Interp. n. 3/2010).

Sotto il profilo della durata temporale della coobligazione il Ministero del lavoro ha precisato che il termine decadenziale di 2 anni per l’esercizio dei relativi diritti opera non solo con riferimento all’esercizio dell’azione da parte del lavoratore (che risulta essere creditore di somme di natura retributiva) ma anche nei confronti degli Istituti, creditori delle somme dovute a titolo contributivo. Sempre in relazione alla durata dell’obbligazione solidale, l’allora Direzione generale dell’attività ispettiva del Dicastero del Welfare ha altresì chiarito che il limite dei due anni, in caso di subappalto, non può che decorrere dalla cessazione dei lavori del subappaltatore (e non dall’eventuale successiva data di conclusione dell’appalto principale).

Si rimarca, infine, come questa forma di solidarietà si applichi ad ogni tipologia di appalto, quindi riguarda:

  • Gli appalti di opere e di servizi;
  • Gli appalti “interni” e appalti “esterni” all’azienda;
  • Gli appalti connessi o meno ad un trasferimento di ramo d’azienda.

A quest’ultimo proposito, l’art. 30, della Legge n. 122/2016 ha modificato l’art. 29, comma 3 in senso più garantista per i lavoratori, prevedendo adesso che, nei cambi d’appalto, è esclusa l’applicazione dell’art. 2112 c.c. in tema di «trasferimento d’azienda» (con la conseguente, fra l’altro, responsabilità solidale tra cedente e cessionario) solo se l’imprenditore che subentra è dotato di propria struttura organizzativa e operativa e che comunque siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa.

Differentemente da quanto prevede la garanzia del Codice Civile, per questo tipo di solidarietà non è prevista alcuna limitazione di tipo quantitativo.

Campo di applicazione oggettivo

Secondo un’opinione risalente, le norme sulla responsabilità solidale sarebbero eccezionali e, come tali, non suscettibili di applicazione analogica oltre l’ipotesi del contratto d’appalto.

A fronte di questa posizione va evidenziata, tuttavia, l’emergere di un rilevante orientamento giurisprudenziale e amministrativo – contrario e maggiormente garantista – che si è mostrato disponibile ad estendere in via analogica il principio della responsabilità solidale anche ad altre fattispecie negoziali affini all’appalto, in ragione di una maggior tutela dei lavoratori interessati.

Proprio in questo solco si colloca la recente Sentenza della Corte Costituzionale n. 254/2017 che, nel giudicare la legittimità della norma, ha fornito una rilevante interpretazione estensiva dell’art. 29, comma 2 del D.Lgs. n. 276/2003 affermando che “(…) il committente è obbligato in solido (anche) con il subfornitore relativamente ai crediti lavorativi, contributivi e assicurativi dei dipendenti di questi.”.

Traendo spunto da questa decisione, l’INL ha evidenziato che il vincolo di solidarietà previsto dall’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, oltre che alla catena degli appalti, va esteso a tutte le forme di decentramento produttivo (es. subfornitura, rapporti tra consorzio e società consorziate, distacco) nelle quali viene in rilievo l’esigenza di salvaguardia dei lavoratori in presenza di una “dissociazione” tra datore di lavoro e utilizzatore della prestazione lavorativa. Evidenzia, tuttavia l’INL che “Restano ferme le altre disposizioni che dettano una disciplina specifica del regime di solidarietà, mutuata dall’art. 29, comma 2 ma adattata alle peculiarità delle tipologie contrattuali cui si riferiscono (v. ad es. somministrazione di lavoro, contratto di trasporto ecc.)”.

Esclusioni soggettive

Il vincolo di corresponsabilità resta escluso nel caso in cui il committente sia una persona fisica che non esercita attività d’impresa (si pensi, ad esempio, al privato che fa ristrutturare la propria abitazione o al condominio che appalta un servizio di pulizie dell’edificio).

L’art. 29, comma 3-ter estende, invece, l’onere solidaristico a quei soggetti che, pur privi di un apprezzabile apparato organizzativo, svolgano un’attività non imprenditoriale, ma «professionale». L’onere della responsabilità solidale si applica, dunque, anche ai professionisti intellettuali che stipulino contratti d’appalto per l’esercizio della loro attività (es. l’ingegnere che, privo di qualsiasi apprezzabile organizzazione, stipuli un contratto d’appalto per l’aggiornamento del sistema informatico di cui si avvale per la redazione dei progetti a beneficio dei propri clienti).

Per quanto riguarda gli appalti stipulati dalle stazioni appaltanti, l’art. 9, co.1 del DL n. 76/2013 ha definitivamente chiarito che queste disposizioni non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni.

(Fonte IPSOA)

Conciliazione sindacale e verifica della maggiore rappresentatività

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L’Ispettorato nazionale del lavoro, intervenendo in merito al diniego opposto al deposito di verbali di conciliazione ad un’organizzazione sindacale, per supposta carenza di legittimazione, chiarisce che la rappresentatività va verificata solo se la procedura di conciliazione è disciplinata dal contratto collettivo.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con nota 17 maggio 2018, prot. n. 163, ha trasmesso alle sedi territoriali il parere relativo alle condizioni di deposito presso gli Ispettorati territoriali del lavoro dei verbali di conciliazione siglati in sede sindacale, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 411 c.p.c. Si tratta di una questione sollevata dall’organizzazione sindacale Confederazione Dirigenti Quadri Impiegati dell’Agricoltura (Confederdia), la quale aveva segnalato all’INL il diniego, da parte di un ufficio territoriale, al deposito di verbali di conciliazione sottoscritti ex art. 411 c.p.c., motivato dalla presupposta carenza di legittimazione dell’organizzazione medesima. A riguardo, con la nota in commento, l’INL chiarisce che la verifica circa la maggiore rappresentatività dell’organizzazione sindacale, che ha assistito un lavoratore in sede di conciliazione ex art. 410 c.p.c., è prevista nei soli casi in cui la conciliazione sia stata disciplinata dal contratto collettivo di riferimento.

Quadro normativo

A seguito della riforma attuata dal Collegato Lavoro (art. 31, Legge n. 183/2010), la conciliazione in sede sindacale, viene disciplinata dal disposto dell’art. 412-ter c.p.c., secondo il quale «la conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’art. 409, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative». Raggiunto l’accordo, il verbale di avvenuta conciliazione, sottoscritto dal datore di lavoro, dal lavoratore e dai rappresentanti sindacali,
viene depositato, a cura di una delle parti o per il tramite dell’associazione sindacale, presso l’Ispettorato territoriale del lavoro che ne accerta l’autenticità e ne cura il deposito, a norma dell’art. 411 c.p.c., nella cancelleria del Tribunale competente. In tal modo l’accordo raggiunto in sede sindacale può acquistare efficacia esecutiva.

Alcuni contratti collettivi di categoria prestano attenzione alla materia delle controversie individuali, come ad esempio in linea generale, l’istituzione diapposite strutture paritetiche, a livello nazionale o territoriale, cui le parti interessate possono far riferimento per l’espletamento del tentativo di conciliazione secondo modalità e termini predefiniti, come si può ad esempio rilevare nei comparti del terziario, del credito e del turismo. L’obiettivo è poter dare alle parti una sede di confronto dove raggiungere, con l’assistenza tecnica dei
rappresentanti sindacali, una soluzione di compromesso. Vi sono, poi, altri contratti che, invece, si limitano ad inserire clausole più generiche, come ad esempio avviene nel CCNL Industria Metalmeccanica (Sez. IV, Tit. VII, art. 7).

A tal proposito, il parere in commento richiama i due requisiti previsti dalla normativa processuale civilistica necessari per un valido deposito dell’accordo sottoscritto. In particolare, quest’ultimo deve essere raggiunto con l’effettiva assistenza al lavoratore da parte di esponenti dell’organizzazione sindacale a cui lo stesso si è affidato, come ribadito anche dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 11167/1991 e, più recentemente, nella sentenza n. 12858/2003.
L’assistenza fornita dall’associazione in favore del lavoratore – purché effettiva e cioè correttamente attuata mediante la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato (in tal senso, vedasi Corte Cass. Sez. lav. n. 20201/2017) – costituisce, pertanto, condizione imprescindibile e sufficiente per la validità della conciliazione sindacale e, dunque, per il suo deposito presso l’Ispettorato territoriale. Infatti, l’articolo 410 c.p.c., al 1° comma, prevede che «chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all’art. 413». Inoltre, come precisato dal successivo articolo 411, comma 3, «il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la Direzione provinciale del lavoro (oggi Ispettorato territoriale del lavoro) a cura di una delle parti o per il tramite di un’associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l’autenticità,
provvede a depositarlo nella cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto». Pertanto, il direttore dell’Ispettorato territoriale del lavoro, o suo delegato, deve verificare l’autenticità del verbale di conciliazione e solo dopo tale riscontro è possibile procedere al deposito del verbale di conciliazione presso la cancelleria del Tribunale ed, eventualmente, ottenere il decreto di esecutività, su istanza della parte interessata.

Precedente orientamento ministeriale

La materia era già stata oggetto, in passato, di precisazioni da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Rispondendo ad un quesito, infatti, la Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, con nota prot. n. 5199 del 16 marzo 2016, aveva chiarito che, per il deposito dei verbali di conciliazione in sede sindacale ex art. 411 c.p.c., il soggetto sindacale deve essere in possesso di elementi di specifica rappresentatività. Valutata la difficoltà da parte degli uffici territoriali di verificare tale requisito, è possibile fare ricorso alle
indicazioni di cui al punto C della circolare n. 1138/G/77 del 17/03/1975, ancora operative, secondo le quali al fine di svolgere l’accertamento d’ufficio, l’Ispettorato territoriale del lavoro – già Direzione territoriale del lavoro, può richiedere alle parti sindacali di apporre sul verbale espressa dichiarazione di aver adottato le procedure di cui alla normativa vigente, intendendosi per tali non più quelle “previste da contratti o accordi collettivi” del testo previgente dell’art. 410 c.p.c., bensì quelle “previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative” di cui all’art. 412-ter c.p.c.. D’altra parte, la summenzionata circolare del 1975 tiene conto del fatto che i Direttori degli Uffici Territoriali non sono tenuti ad effettuare verifiche tecnicamente complesse e suscettibili di incidere virtualmente sulle prerogative sindacali (soprattutto nell’attuale fase di valorizzazione del criterio della maggiore rappresentatività), pertanto, nel pieno rispetto dell’art. 39 Cost., la responsabilità del rispetto e della corretta applicazione delle indicazioni di fonte legislativa viene spostata a livello di autoregolamentazione sindacale.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, facendo seguito alla nota n. 5199/2016, in data 22 marzo 2016, con nota prot. n. 5755, ha ulteriormente precisato che, al fine di accertare il “possesso di elementi di specifica rappresentatività” utile all’espletamento dell’attività di deposito di verbali ex art. 411 c.p.c., è sufficiente che il verbale sia stato sottoscritto “in sede sindacale”, ossia con l’assistenza di un rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore che appartenga ad associazioni sindacali maggiormente rappresentative. Pertanto,
conclude la nota ministeriale, la verifica in ordine alla “specifica rappresentatività” del soggetto sindacale non va basata sull’elemento formale del rispetto di procedure previste dai contratti collettivi, ma sul grado di rappresentatività del soggetto sindacale.

Il parere dell’Ispettorato

A riguardo, con la nota in commento, l’INL richiama il contenuto delle citate note del 2016 (prott. n. 5199 del 16 marzo 2016 e n. 5755 del 22 marzo 2016), circa il requisito di “specifica rappresentatività” dell’organizzazione sindacale.
Muovendo, infatti, dai ragionamenti sopra esposti, è possibile ritrovare un collegamento con il parere rilasciato in precedenza dalla competente Direzione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella parte in cui – non difformemente dall’interpretazione, seppur datata, fornita con la Circolare n. 1138/1975 – si è ribadito che, ai fini del deposito del verbale presso l’Ufficio territoriale, il soggetto sindacale “deve risultare in possesso di elementi di specifica rappresentatività”. Tale indicazione deve essere letta alla luce dell’art. 412 ter c.p.c., che consente la previsione in sede contrattuale di una specifica procedura di conciliazione (generalmente trattasi dell’istituzione di apposite strutture periferiche ovvero della fissazione della sede, dei termini e del contenuto dell’istanza) esclusivamente alle associazioni sindacali dotate del requisito della maggiore rappresentatività. Di conseguenza, solo con riferimento a tali ipotesi di “proceduralizzazione contrattuale”, risulta necessaria la verifica dell’effettiva sottoscrizione da parte dell’associazione sindacale del contratto collettivo della categoria in esame nonché la verifica del grado di rappresentatività del soggetto sindacale.

In altre parole, l’Ispettorato chiarisce che la verifica circa la maggiore rappresentatività dell’organizzazione sindacale, che ha assistito un lavoratore in sede di conciliazione ex art. 410 c.p.c., è prevista nei soli casi in cui la conciliazione sia stata disciplinata dal contratto collettivo di riferimento.

Ciò detto, posto che dalla predetta verifica dipende il deposito del verbale sottoscritto e la sua esecutività, nel parere in commento si sottolinea l’importanza di individuarne le possibili modalità.

Alla luce di quanto previsto nelle citate note ministeriali del 2016, l’INL evidenzia come sarà sufficiente verificare, semplicemente d’ufficio, l’apposizione sul verbale di un’espressa dichiarazione del soggetto sindacale di conformità al requisito di cui al citato articolo 412 ter. Si tratta di una soluzione che tiene conto del principio di responsabilizzazione del sistema di relazioni industriali, garantendo l’autoregolamentazione sindacale in applicazione delle norme che la prevedono.

Da ultimo l’INL, con l’occasione, mette nuovamente in risalto la distinta ipotesi della maggiore rappresentatività in termini comparativi esaminata diffusamente dalla recente circolare n. 3/2018. Tale requisito, infatti, condiziona l’operatività di alcuni istituti contrattuali previsti dai contratti collettivi di qualsiasi livello, nonché il godimento di benefici normativi e contributivi.

In questo caso, se nell’ambito dell’attività ispettiva si verifica l’assenza dell’efficacia dei contratti applicati, vi sarà la conseguente adozione dei provvedimenti dovuti (recuperi contributivi, diffide accertative, ecc.).

Del tutto diversa è, quindi, la questione in esame, attinente all’attività della conciliazione che la normativa processuale, nell’ambito della disciplina delle conciliazioni, attribuisce alle organizzazioni sindacali, affidando in tal caso all’Ispettorato del lavoro il compito di “depositario” dei relativi verbali unitamente alla verifica delle condizioni sopra descritte, tra le quali la maggiore rappresentatività nei soli casi in cui la conciliazione sia stata disciplinata dal contratto collettivo di riferimento.

IL TESTO DEL PROVVEDIMENTO

Ispettorato Nazionale del Lavoro
Nota 17 maggio 2018, n. 163
Oggetto: Deposito verbali di conciliazione in sede sindacale ex art. 411 c.p.c. –
Chiarimenti.

Con nota pervenuta in data 11 maggio 2018, l’Organizzazione sindacale Confederdia (Confederazione Dirigenti Quadri Impiegati dell’Agricoltura) ha riferito in merito al diniego di codesto Ispettorato territoriale relativamente al deposito di verbali di conciliazione sottoscritti ex art. 411 c.p.c., motivato dalla presupposta carenza di legittimazione dell’organizzazione medesima.

A riguardo, si ritiene opportuno rappresentare quanto segue, per meglio chiarire gli aspetti già affrontati dalla Direzione generale per l’attività ispettiva e dalla Direzione generale delle relazioni industriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Ai sensi delle disposizioni del codice di procedura civile, «chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione…» (art. 410 c.p.c.).

L’art. 411, comma 3, c.p.c., come modificato dall’art. 31 della Legge n. 183/2010, prevede che «il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la Direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di un’associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l’autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto».

Ne consegue che il presupposto fondamentale della conciliazione sindacale è la circostanza che l’accordo sia raggiunto con un’effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale cioè di quella alla quale egli ha ritenuto di affidarsi, così come ribadito dal giudice di legittimità (con la sentenza n. 12858/2003 la Corte di Cassazione ha sostanzialmente confermato quanto già affermato in passato con la sentenza n. 11167/1991).

L’assistenza fornita dall’associazione in favore del lavoratore – purchè effettiva e cioè correttamente attuata mediante la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato (in tal senso, vedasi Corte Cass. Sez. lav. n. 20201/2017) – costituisce, pertanto, condizione imprescindibile e sufficiente per la validità della conciliazione sindacale e, dunque, per il suo deposito presso l’Ispettorato territoriale.

L’ulteriore requisito richiesto espressamente dalla legge, ovvero l’autenticità del verbale di conciliazione, accertata dal direttore dell’Ispettorato territoriale o da un suo delegato, consente il deposito del verbale medesimo presso la cancelleria del Tribunale e, per ciò stesso, la possibilità di ottenere, su istanza della parte interessata, il decreto di esecutività.

Quanto sopra esposto si concilia con il parere rilasciato in precedenza dalla competente Direzione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (prot. 5199 del 16/03/2016 e prot. 5755 del 22/03/2016) nella parte in cui – non difformemente dall’interpretazione, seppur risalente, fornita con la Circolare n. 1138/1975 – si è ribadito che, ai fini del deposito del verbale presso l’Ufficio territoriale, il soggetto sindacale «deve risultare in possesso di elementi di specifica rappresentatività».

La suddetta interpretazione deve essere, infatti, letta alla luce dell’art. 412 ter c.p.c. per il quale «la conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’articolo 409, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative».

In altri termini, la norma consente la previsione in sede contrattuale di una specifica procedura di conciliazione (generalmente trattasi dell’istituzione di apposite strutture periferiche ovvero della fissazione della sede, dei termini e del contenuto dell’istanza) esclusivamente alle associazioni sindacali dotate del requisito della maggiore rappresentatività.

Ne consegue che soltanto con riferimento alle suddette fattispecie di “proceduralizzazione contrattuale” della conciliazione sindacale si rende necessaria la verifica dell’effettiva sottoscrizione da parte dell’associazione sindacale del contratto collettivo della categoria in esame nonché la verifica del grado di rappresentatività del soggetto sindacale che, come precisato dalle citate note ministeriali, pur non potendosi concretare in un mero riscontro formale del rispetto delle procedure previste, potrà essere tuttavia effettuata mediante
l’apposizione sul verbale di un’espressa dichiarazione del soggetto sindacale di conformità al requisito di cui all’art. 412-ter c.p.c.

In conclusione, come già chiarito con la citata nota ministeriale del 22 marzo 2016, posto che non tutti i contratti collettivi prevedono una specifica disciplina della conciliazione, la soluzione della “responsabilizzazione”, e cioè dell’autodichiarazione del soggetto sindacale in ordine al possesso del requisito della maggiore rappresentatività (da doversi adottare – si ribadisce – nelle sole ipotesi in cui la conciliazione sindacale è realizzata secondo specifiche disposizioni contrattuali) consente di evitare all’Ispettorato territoriale accertamenti tecnicamente complessi e, al contempo, garantisce l’autoregolamentazione sindacale in applicazione delle norme che la prevedono.

Deve peraltro evidenziarsi che la disamina in esame, relativa ai requisiti richiesti dalle disposizioni di procedura civile per la conciliazione sindacale, non va posta in correlazione con la diversa tematica della verifica dei requisiti delle organizzazioni sindacali richiesti dalla normativa per l’applicazione di determinati istituti.

Ci si riferisce al requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi delle organizzazioni firmatarie, espressamente richiesto dall’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015, ai fini dell’applicazione di determinate discipline normative.

Come più ampiamente illustrato con la Circolare n. 3/2018 di questo Ispettorato,la verifica del più incisivo carattere della maggiore comparatività concerne l’applicazione, in ambito contrattuale, di determinate discipline legislative che, in assenza del requisito richiesto dall’art. 51 cit., restano prive di efficacia.

In altri termini, la disciplina contrattuale prevista da un contratto collettivo che non sia stato stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative comporta l’inefficacia della disciplina normativa applicata.

Da qui l’attenzione richiamata, con la citata Circolare, in ordine all’azione di vigilanza volta a verificare l’efficacia dei contratti applicati e, in mancanza, la conseguente adozione dei provvedimenti dovuti (recuperi contributivi, diffide accertative, ecc.).

Del tutto diversa è la vicenda in esame relativa all’attività della conciliazione che la normativa processuale, nell’ambito della disciplina delle conciliazioni, attribuisce alle organizzazioni sindacali, affidando in tal caso all’Ispettorato del lavoro il compito di “depositario” dei relativi verbali unitamente alla verifica delle condizioni sopra descritte, tra le quali la maggiore rappresentatività nei soli casi in cui la conciliazione sia stata disciplinata dal contratto collettivo di riferimento.

(Fonte Guisa al Lavoro)

Appalto e sicurezza sul lavoro: come organizzare la gestione dell’emergenza

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Per l’attuazione delle misure di prevenzione incendi e per la gestione dell’emergenza è fondamentale che si attivi un processo di cooperazione e di coordinamento fra tutti i soggetti presenti nei luoghi di lavoro: committenti, appaltatori, subappaltatori e lavoratori autonomi. E’ quanto chiarito dalla Commissione per gli Interpelli in risposta ad un quesito posto dall’Associazione nazionale delle imprese di pulizia e dei servizi integrati. Quali informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente devono essere obbligatoriamente rese prima dello svolgimento delle attività lavorative? Cosa devono fare i datori di lavoro coinvolti per la corretta gestione delle emergenze?

La Commissione per gli Interpelli ha risposto all’istanza dell’Associazione nazionale delle imprese di pulizia e servizi integrati (ANIP), posta dopo la segnalazione di una propria associata.

L’ANIP, prospettando il caso di una impresa che, erogando servizi a soggetti committenti, si trovi nella condizione di non avere la disponibilità giuridica ed esclusiva dei luoghi in cui si svolge l’appalto ma utilizzi locali della committenza (spogliatoi, magazzini, uffici) e soprattutto eroghi i servizi in tutti gli ambienti (reparti, hall, corridoi, stanze, spazi esterni, uffici, ambulatori, laboratori, officine, ecc.), ha richiesto un parere relativamente a tre quesiti:

a) se l’obbligo imposto dall’art. 18, comma 1, lettera b), del decreto n. 81/2008 possa ritenersi assolto, per un datore di lavoro che svolga le proprie attività esclusivamente presso unità produttive di un datore di lavoro committente, attraverso la presa d’atto che il datore di lavoro committente abbia predisposto un piano generale di emergenza (ex D.M. 10 marzo 1998), che coinvolga anche eventuali lavoratori di aziende terze;

b) se le squadre di emergenza e primo soccorso del datore di lavoro committente possano considerarsi sufficienti per tutelare tutti i soggetti, anche appaltatori e subappaltatori, presenti nei luoghi di lavoro della committenza;

c) se sia sufficiente, per ritenere soddisfatto l’obbligo, di cui all’art. 18, comma 1, lettera b), del decreto n. 81/2008 per l’appaltatore, della presa d’atto, formalizzata attraverso un verbale di condivisione del piano generale di emergenza nell’ambito delle misure di cooperazione e coordinamento previste all’art. 26 del decreto 81, che il datore di lavoro committente ha predisposto il medesimo piano coinvolgendo anche eventuali lavoratori di aziende terze e ha nominato le squadre di emergenza e primo soccorso.

Cosa dice il TU della sicurezza sul lavoro

Per rispondere ai quesiti, la Commissione ricostruisce il quadro normativo vigente. Prima di tutto viene ricordato che l’articolo 18, comma 1, lettera b), del decreto n. 81/2008 prevede che il datore di lavoro e i dirigenti, che organizzano e dirigono le attività lavorative secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, debbano designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza.

L’art. 43, comma 2, del decreto n. 81/2008 prevede, inoltre, che, ai fini delle designazioni dei lavoratori, il datore di lavoro tenga conto delle dimensioni dell’azienda e dei rischi specifici; il numero degli addetti non può essere dunque aprioristicamente determinato, in quanto la designazione dei lavoratori incaricati della gestione dell’emergenza deve avvenire sulla base degli esiti della valutazione dei rischi e del piano generale di emergenza, quale previsto dal D.M. 10 marzo 1998 tuttora vigente e in attesa di aggiornamento.

Il decreto citato, cogente ai sensi dell’art. 46 del decreto n. 81/2008, definisce i criteri per la valutazione dei rischi di incendio nei luoghi di lavoro, indica le misure di prevenzione e di protezione antincendio da adottare, al fine di ridurre l’insorgenza di un incendio e di limitarne le conseguenze qualora esso si verifichi, e stabilisce di riportare gli esiti della valutazione in un piano generale di emergenza.

Per i luoghi di lavoro ove sono occupati meno di 10 dipendenti, il datore di lavoro non è tenuto alla redazione del piano di emergenza, ferma restando però l’adozione delle necessarie misure organizzative e gestionali da attuare in caso di incendio. Viene poi rammentato, facendo anche riferimento al passato Interpello n. 6/2013, che l’art. 26 del decreto n. 81/2008 fa gravare, in capo al datore di lavoro committente, gli obblighi di:

  • verificare, anche attraverso l’iscrizione alla CCIAA, l’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi, in relazione ai lavori da affidare in appalto o con contratto d’opera;
  • fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui siano destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività;
  • promuovere la cooperazione all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto e il coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte;
  • elaborare un unico documento di valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI), allegato al contratto d’appalto o d’opera, che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze, senza però includere i rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, coperti da autonome valutazioni.

Citando la Determinazione 5 marzo 2008 n. 3 dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, la Commissione conclude l’excursus normativo evidenziando che è possibile parlare d’interferenza, con obbligo di redazione del DUVRI; ove si verifichi un “contatto rischioso” tra il personale del datore di lavoro committente e quello dell’appaltatore o subappaltatore ovvero tra il personale di imprese o lavoratori autonomi diversi che operino nella stessa sede aziendale con contratti differenti, mettendo in relazione i rischi propri presenti nei luoghi in cui verrà espletato il lavoro con i rischi derivanti dall’esecuzione del contratto.

Conclusioni e la risposta della Commissione

La Commissione ritiene di non prendere in considerazione le richieste di ANIP volte ad ottenere indicazioni sulla coerenza di determinate soluzioni organizzative alle norme di legge, in quanto il decreto n. 81/2008 considera l’Interpello solo come risposta a quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa di salute e sicurezza sul lavoro, escludendo così la pronuncia sulla correttezza di modalità in base alle quali le singole aziende attuino le disposizioni normative, oggetto eventualmente di specifico accertamento in sede ispettiva.

Per quanto, invece, attiene agli obblighi generali di gestione dell’emergenza e di designazione degli incaricati, la Commissione rileva, senza profili di dubbio, che anche il datore di lavoro che operi presso i luoghi di lavoro di un soggetto committente sia tenuto all’adempimento degli obblighi relativamente a rischi specifici della propria attività suscettibili di dare luogo a situazioni di emergenza, come ad esempio nel caso di utilizzo di sostanze, attrezzature o materiali pericolosi.

Rileva altresì che il datore di lavoro committente, in caso di affidamento di lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, debba fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività.

Tutti i datori di lavoro, committenti, appaltatori e subappaltatori, nonché i lavoratori autonomi, devono necessariamente ed obbligatoriamente cooperare ad attuare le misure di prevenzione e protezione e sono tenuti a coordinare gli interventi di prevenzione e protezione, anche informandosi reciprocamente.

In conclusione, la Commissione ritiene che la gestione delle emergenze debba essere intesa come un processo, operativamente diverso caso per caso, del quale tutti gli attori coinvolti nell’appalto e/o subappalto e/o contratto d’opera svolgentesi in un medesimo luogo di lavoro siano compartecipi, fermo restando il ruolo di promotore del committente e l’obbligo per l’appaltatore/subappaltatore/lavoratore autonomo di attenersi alle procedure conseguenti alla predetta cooperazione.

Sarà dunque fondamentale che, prima dello svolgimento dell’attività lavorativa e secondo modalità non rigidamente prestabilite ma ritenute comunque idonee, tutti i lavoratori, sia del committente che dell’appaltatore/subappaltatore sia autonomi, siano portati a conoscenza di tutte le misure di gestione dell’emergenza da adottarsi obbligatoriamente.

Sarà anche necessario designare gli incaricati alla gestione delle emergenze, in relazione sia ai rischi interferenziali che specifici, in ogni realtà aziendale coinvolta in attività lavorativa svolgentesi in un medesimo luogo di lavoro.

(Fonte IPSOA)

Sgravio triennale nuove assunzioni: recupero arretrati entro il 30 giugno

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Nell’UniEmens del mese di maggio 2018, che i datori di lavoro privati dovranno trasmettere entro il prossimo 30 giugno, trova spazio il recupero dei benefici contributivi per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti spettante per i mesi di gennaio e febbraio 2018. La retribuzione erogata e la contribuzione dovuta per l’assunzione agevolata devono essere esposti in misura piena nella sezione individuale della denuncia, salvo poi valorizzare l’elemento incentivo con l’importo del beneficio. Come si compila la denuncia contributiva?

Lo sgravio contributivo per nuove assunzioni, introdotto in via strutturale dalla legge di Bilancio 2018 è entrato in vigore già a partire dal mese di gennaio 2018, ma i datori di lavoro che hanno posto in essere assunzioni incentivate hanno potuto inserire la relativa fruizione nella denuncia contributiva e cominciare così a fruire materialmente del bonus soltanto a partire dallo scorso mese di marzo.

Con riferimento alle assunzioni effettuate nei mesi di gennaio e febbraio, l’INPS ha previsto che è possibile recuperare l’importo arretrato dell’agevolazione già maturata, a condizione che l’esposizione in denuncia contributiva sia effettuata entro il 30 giugno.

I codici da utilizzare variano in base alla fattispecie agevolata in cui rientra l’assunzione. Sulla base delle indicazioni fornite dall’INPS, la retribuzione erogata e la contribuzione dovuta per l’assunzione agevolata devono essere esposti in misura piena nella sezione individuale della denuncia, salvo poi valorizzare l’elemento incentivo con l’importo del beneficio spettante.

Soltanto nel caso delle aziende agricole la tariffazione sarà predisposta dall’INPS, sulla base degli elementi riportati nel DMAG, senza che sia necessario, vista la periodicità trimestrale, operare alcun recupero di importi arretrati.

Caratteri generali dell’agevolazione

L’esonero contributivo in oggetto spetta a condizione che l’assunzione con contratto di lavoro subordinato riguardi soggetti che non abbianocompiuto il trentacinquesimo anno di età e non siano stati occupati a tempo indeterminato con il medesimo o con altro datore di lavoro nel corso dell’intera vita lavorativa.

La misura dell’incentivo è pari al 50% dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, nel limite massimo di 3.000 euro su base annua, da riparametrare e applicare su base mensile. La durata del beneficio è pari a trentasei mesi a partire dalla data di assunzione.

La medesima agevolazione può essere riconosciuta:

  • per un periodo di 12 mesi nelle ipotesi di mantenimento in servizio, decorrente dal 1° gennaio 2018, del lavoratore al termine del periodo di apprendistato, a condizione che il lavoratore, al momento del mantenimento in servizio, non abbia compiuto il trentesimo anno di età;
  • nella misura del 100% dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, nelle ipotesi in cui le assunzioni a tempo indeterminato riguardino giovani che, nei sei mesi precedenti, abbiano svolto presso il medesimo datore di lavoro attività di alternanza scuola-lavoro o periodi di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore, il certificato di specializzazione tecnica superiore o periodi di apprendistato in alta formazione.

Si tratta di un beneficio strutturale, che non rientra nella disciplina de minimis ma limitato nella misura e nel limite massimo fruibile.

Esposizione in UniEmens

La compilazione della denuncia contributiva varia in base alla tipologia di beneficio applicato:

A) sgravio al 50%: all’interno di “DenunciaIndividuale”, “DatiRetributivi”, elemento “Incentivo”:

  • nell’elemento “TipoIncentivo” deve essere inserito il valore GECO
  • nell’elemento “CodEnteFinanziatore” deve essere inserito il valore H00 (Stato)
  • nell’elemento “ImportoCorrIncentivo” deve essere indicato l’importo posto a conguaglio relativo al mese corrente
  • nell’elemento “ImportoArrIncentivo” deve essere indicato l’importo dell’esonero contributivo relativo ai mesi di competenza di gennaio e febbraio 2018.

I dati esposti in UniEmens confluiranno nel DM10 virtuale:

  • con il codice L472 per il contributo corrente
  • con il codice L473 per il contributo arretrato.

B) Mantenimento in servizio al termine del periodo di apprendistato, all’interno di “DenunciaIndividuale”, “DatiRetributivi”, elemento “Incentivo”:

  • nell’elemento “TipoIncentivo” deve essere inserito il valore GAPP
  • nell’elemento “CodEnteFinanziatore” deve essere inserito il valore H00 (Stato);
  • nell’elemento “ImportoCorrIncentivo” deve essere indicato l’importo posto a conguaglio relativo al mese corrente;
  • nell’elemento “ImportoArrIncentivo” deve essere indicato l’importo dell’esonero contributivo relativo ai mesi di competenza di gennaio e febbraio 2018.

I dati esposti in UniEmens confluiranno nel DM10 virtuale:

  • con il codice L474 per il contributo corrente;
  • con il codice L475 per il contributo arretrato.

C) Assunzioni o trasformazioni post alternanza o apprendistato non professionalizzante, all’interno di “DenunciaIndividuale”, “DatiRetributivi”,elemento “Incentivo”:

  • nell’elemento “TipoIncentivo” deve essere inserito il valore GALT;
  • nell’elemento “CodEnteFinanziatore” deve essere inserito il valore H00 (Stato);
  • nell’elemento “ImportoCorrIncentivo” deve essere indicato l’importo posto a conguaglio relativo al mese corrente;
  • nell’elemento “ImportoArrIncentivo” deve essere indicato l’importo dell’esonero contributivo relativo ai mesi di competenza di gennaio e febbraio 2018.

I dati esposti in UniEmens confluiranno nel DM10 virtuale:

  • con il codice L476 per il contributo corrente;
  • con il codice L477 per il contributo arretrato

Esposizione in DMAG

I datori di lavoro agricolo per usufruire dell’esonero relativo ad ogni lavoratore in possesso dei requisiti previsti dalla norma, devono riportare nel flusso DMAG oltre ai consueti dati retributivi utili per la tariffazione, i seguenti dati in base alla tipologia di beneficio applicato:

Esonero contributivo al 50%:

  • nel campo Tipo Retribuzione il valore Y
  • nel campo “CODAGIO” il valore E7.

Mantenimento in servizio al termine del periodo di apprendistato

  • nel campo Tipo Retribuzione il valore Y
  • nel campo “CODAGIO” il valore E8.

Esposizione in ListaPosPA

L’eventuale recupero dei contributi relativi ai mesi di gennaio e febbraio 2018 potrà essere effettuato valorizzando i predetti elementi esclusivamente nei flussi UniEmens – ListaPosPA di competenza di marzo, aprile e maggio 2018.

Esonero contributivo al 50%:

  • nell’elemento “AnnoRif” l’Anno di riferimento dello sgravio
  • nell’elemento “MeseRif” il Mese di riferimento dello sgravio
  • nell’elemento “CodiceRecupero” il valore A
  • nell’elemento “Importo” l’importo del contributo oggetto dello sgravio.

Mantenimento in servizio al termine del periodo di apprendistato:

  • nell’elemento “AnnoRif” l’Anno di riferimento dello sgravio
  • nell’elemento “MeseRif” il Mese di riferimento dello sgravio
  • nell’elemento “CodiceRecupero” il valore B
  • nell’elemento “Importo” l’importo del contributo oggetto dello sgravio.

Assunzioni o trasformazioni post alternanza o apprendistato non professionalizzante:

  • nell’elemento “AnnoRif” l’Anno di riferimento dello sgravio
  • nell’elemento “MeseRif” il Mese di riferimento dello sgravio
  • nell’elemento “CodiceRecupero” il valore C
  • nell’elemento “Importo” l’importo del contributo oggetto dello sgravio.

(Fonte IPSOA)

Cambio appalto e clausole sociali: la tutela dei lavoratori nelle linee guida ANAC

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L’Autorità Nazionale Anticorruzione – ANAC ha pubblicato la bozza delle linee guida sulla disciplina delle clausole sociali negli appalti pubblici, in consultazione pubblica fino al 13 giugno 2018. Le clausole sociali mirano a garantire il diritto dei lavoratori ad essere riassunti dall’azienda che subentra nell’appalto. Molto spesso sono tale diritto è oggetto di copioso contenzioso amministrativo con conseguenti costi per tutti i soggetti coinvolti e ritardi in sede di aggiudicazione degli appalti. Ora l’ANAC, con uno specifico atto regolatorio, fornisce indicazioni sulle modalità di applicazione delle clausole. Cosa stabilisce?

Arrivano le indicazioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione sulla disciplina delle clausole socialinegli appalti pubblici. L’ANAC ha infatti pubblicato il 14 maggio 2018 la bozza di Linee guida recanti “La disciplina delle clausole sociali”.

La pubblicazione è stata, in questa fase, effettuata con finalità di consultazione pubblica fino al 13 giugno 2018, data in cui, entro le ore 18, i diversi soggetti interessati potranno far pervenire eventuali osservazioni.

Si tratta di un tema di particolare rilevanza, posto che le clausole sociali negli appalti pubblici riguardano il diritto dei lavoratori ad essere riassunti dal datore di lavoro subentrante nell’appalto e risulta oggetto di copioso contenzioso amministrativo con conseguenti costi per tutti i soggetti coinvolti e spesso ritardi in sede di aggiudicazione degli appalti.

Il documento dunque si pone come ausilio nella fase di predisposizione dei bandi di gara e di esecuzione dei contratti nonchè nella fase di orientamento interpretativo per tutti i soggetti coinvolti.

Finalità della clausole sociali

Il diritto dei lavoratori di essere riassunti dal datore di lavoro subentrante nell’appalto risulta previsto da diversi contratti collettivi nazionali di lavoro (es. settori pulizia, ristorazione collettiva, vigilanza), ma è con il codice degli appalti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50) che è stato puntualmente disciplinato dal legislatore.

Peraltro, col decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56 recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, è stato rafforzato (art. 50) l’obbligo di inserire nei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, in particolare per quelli che registrano un’alta intensità di manodopera (cioè quelli in cui l’incidenza del costo del lavoro è pari almeno al 50%) specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore (articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81).

Lo stesso codice degli appalti prevede (art. 203, comma 2) che l’ANAC possa elaborare specifiche linee guida per garantire la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto.

E dunque in applicazione di quanto previsto dall’articolo 213, del Codice dei contratti pubblici l’ANAC ha deciso di adottare, con apposite Linee guida, uno specifico atto regolatorio che fornisce indicazioni sulle modalità ed applicazione delle clausole sociali, in considerazione della generale rilevanza di tale istituto nell’ambito della contrattualistica pubblica, anche se – come si legge nel documento – non sono da considerare vincolanti.

Cosa prevede il codice appalti

L’articolo 50 del codice appalti impone alla stazione appaltante un formale e specifico recepimento della clausola sociale nella lex specialis di gara e nel contratto di appalto/concessione. Tale clausola, peraltro, può anche essere ulteriormente valorizzata dalle stazioni appaltanti stabilendo anche vincoli che vanno oltre la mera tutela occupazionale e prevedendo negli atti di gara anche aspetti relativi alla protezione sociale, al lavoro e all’ambiente.

L’obbligo, come anticipato, non riguarda tutti gli appalti ma solo quelli in cui si registra un’alta intensità di manodopera.

Sono invece esclusi quelli relativi a:

  • servizi di natura intellettuale
  • appalti di fornitura
  • appalti e concessioni in cui la prestazione lavorativa è scarsamente significativa o anche irrilevante (ad esempio, appalti di natura finanziaria)
  • casi in cui è riscontrabile l’elemento dell’intuitus personae.

N.B. Su tale ultimo aspetto c’è da osservare che non vi è chiarezza, posto che l’elemento dell’intuitus personae è tipico dei servizi di natura professionale che risultano già esclusi e quindi si deve ritenere che si lasci aperta la strada ad ulteriori ipotesi rispetto a quelli già a parte indicati

Modalità e condizioni di operatività

Le Linee Guida forniscono poi alcune indicazioni specifiche sulle concrete modalità e condizioni di operatività delle clausole e ciò, evidentemente, tenendo conto della giurisprudenza amministrativa e comunitaria in materia. Il documento ricorda infatti che, la “giurisprudenza, anche comunitaria, ha chiarito che l’applicazione della clausola sociale non comporta un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento del personale utilizzato dall’impresa uscente, dovendo tale obbligo essere armonizzato con l’organizzazione aziendale prescelta dal nuovo affidatario.”.

Occorre inoltre avere riguardo alle diversità delle attività oggetto dell’appalto ovvero delle condizioni soggettive.

Laddove vi sia una differenza in termini di entità delle prestazioni, l’obbligo di assorbimento va considerato nei limiti del nuovo fabbisogno lavorativo. In ogni caso – si legge – “ il riassorbimento del personale è imponibile nella misura e nei limiti in cui sia compatibile con il fabbisogno richiesto dall’esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l’organizzazione del lavoro elaborata dal nuovo assuntore”.

Prevenzione del contenzioso

Nell’ottica invece della prevenzione di contenzioso, la lex specialis dovrà prevedere espressamente la clausola sociale e per consentire ai concorrenti di conoscere i dati del personale da assorbire, la stazione appaltante dovrà indicare, in modo chiaro, il numero di unità, monte ore, CCNL applicato dall’attuale appaltatore, qualifica, livelli retributivi, scatti di anzianità, sede di lavoro. Altro aspetto importante riguarda il riferimento dell’art. 50 del codice appalti ai contratti collettivi.

Ricordiamo che, a tal fine, per promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, deve essere prevista l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore(articolo 51 del decreto legislativo n. 81/2015). Le Linee Guida al proposito evidenziano che ciò si traduce nell’obbligo, da parte delle imprese aggiudicatarie, di applicare le clausole sociali a prescindere dalla previsione ad hoc inserita nella lex specialis di gara qualora sia prevista dai contratti collettivi.

Sulle conseguenze dell’eventuale mancato adempimento il documento ritiene che la mancata accettazione della clausola sociale costituisce manifestazione della volontà di proporre un’offerta condizionata, come tale inammissibile nelle gare pubbliche.

In concreto, se la stazione appaltante accerti in gara – se del caso attraverso il meccanismo del soccorso istruttorio-che l’impresa concorrente rifiuta di accettare la clausola senza giustificato motivo, si impone l’esclusione dalla gara. Se invece l’inottemperanza si verifichi successivamente all’impegno assunto in sede di gara e confermato contrattualmente, “la violazione imputabile all’appaltatore non rileva ai fini dell’aggiudicazione, in quanto la clausola sociale, secondo la configurazione rinvenibile dall’articolo 100 del Codice dei contratti, costituisce una condizione di esecuzione del contratto. L’inadempimento rileva nell’ambito della responsabilità contrattuale, talché unicamente la stazione appaltante è legittimata ad avvalersi dei rimedi di matrice civilistica, previsti nel contratto, ad esempio clausola risolutiva espressa e penali, e dalla legge (si veda l’articolo 108 del Codice dei contratti pubblici)”.

(Fonte IPSOA)

Trattamento dati personali: aggiornata la Convenzione UE

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E’ pronto per essere sottoscritto il protocollo predisposto dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa con cui si provvede all’aggiornamento della Convenzione n. 108 del 1981 in materia di dati personali. L’integrazione si è resa necessaria a fronte delle nuove tecnologie che consentono il trattamento automatizzato dei dati.

Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa da notizia, in data 21 maggio 2018, dell’avvenuto completamento del processo di modernizzazione della Convenzione 108 del 1981 in materia di protezione degli individui rispetto al trattamento automatizzato dei dati personali, alla luce delle nuove tecnologie attualmente in uso. Il Protocollo rafforza i compiti delle Autorità di protezione dati e del Comitato della Convenzione, per il rispetto dei principi della Convenzione.

Il nuovo Protocollo sarà aperto alla firma il 25 giugno, in occasione della sessione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa.

Il Protocollo si rivolge anche ai paesi che, ad oggi, non fanno parte del Consiglio d’Europa, in accordo a quanto previsto dal Regolamento (UE) 2016/679 che entrerà in vigore il prossimo 25 maggio.

Tra le novità previste i punti principali riguardano:

  • il rafforzamento degli obblighi di trasparenza a carico dei titolari del trattamento;
  • l’ampliamento dei diritti degli interessati, incluso il diritto a non essere soggetto a decisioni puramente automatizzate e a conoscere la logica del trattamento;
  • maggiori garanzie per la sicurezza dei dati, incluso l’obbligo di notificare i data breach, e di assicurare un approccio di privacy by design.

(Fonte IPSOA)

Servizio di prevenzione aziendale: attenzione all’aggiornamento formativo

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Gli addetti o i responsabili del servizio di prevenzione e protezione aziendale, per esercitare la propria funzione, devono dimostrare di aver partecipato a corsi di formazione per un numero di ore non inferiore a quello minimo previsto. L’obbligo di aggiornamento è quinquennale. I corsi non devono riguardare temi di carattere generale, ma aspetti e tematiche nuove o applicazioni pratiche collegate al contesto produttivo e ai rischi specifici del settore di interesse. La mancata frequenza dei corsi di aggiornamento comporta gravi conseguenze per gli addetti o i responsabili del servizio di prevenzione e protezione aziendale: quali?

Il 15 maggio 2018 è scaduto il secondo quinquennio di aggiornamento per chi, avendo usufruito al 15 maggio 2008 dell’esonero formativo previsto dalla legge, eserciti le funzioni di addetto o responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale. L’Accordo Stato-Regioni del 7 luglio 2016 ha disciplinato i contenuti, le modalità e il riconoscimento dei crediti formativi di tale aggiornamento. Cosa comporta il non essere in regola con l’obbligo di aggiornamento?

Capacità e requisiti professionali degli RSPP e degli ASPP

La normativa prevenzionistica di base (art. 32, T.U. sicurezza sul lavoro) disciplina le capacità ed i requisiti professionali che devono possedere i responsabili (RSPP) e gli addetti (ASPP), interni o esterni, dei servizi di prevenzione e protezione (SPP), costituti in azienda in funzione della natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativamente alle attività lavorative svolte.

Per lo svolgimento delle funzioni di RSPP e ASPP è necessario essere in possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore (salvo poter dimostrare di aver svolto la funzione di RSPP o ASPP, professionalmente o alle dipendenze di un datore di lavoro, almeno per sei mesi alla data del 13 agosto 2003, se non in possesso di tale titolo di studio), nonché di un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione (moduli A e B, base e specialistico), adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative.

Per lo svolgimento della funzione di RSPP è necessario altresì possedere un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione (modulo C), in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato, di organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative e di tecniche di comunicazione in azienda e di relazioni sindacali.

N.B. I corsi di formazione citati sono stati disciplinati dall’Accordo Stato-Regioni del 26 gennaio 2006 fino al 3 settembre 2016; da tale data l’Accordo del 2006 è stato infatti superato dal vigente Accordo Stato-Regioni del 7 luglio 2016.

Esonero dai corsi di formazione

Il Testo unico sicurezza sul lavoro prevede inoltre che i soggetti, in possesso di talune lauree riconosciute corrispondenti ai sensi della normativa vigente, siano esonerati dalla frequenza dei corsi di formazione (moduli A e B, base e specialistico). L’Accordo Stato-Regioni del 2016 ha individuato ed elencato precisamente le lauree di cui trattasi:

  • laurea magistrale conseguita in una delle classi LM-4, da LM-20 a LM-25, LM26, da LM-27 a LM-35, di cui al decreto del Ministro Università del 16 marzo 2007;
  • laurea specialistica conseguita in una delle classi 4/S, da 25/S a 38/S, di cui al decreto del Ministro Università del 28 novembre 2000;
  • laurea magistrale conseguita nella classe LM/SNT 4, di cui al decreto del Ministro Università del 8 gennaio 2009;
  • laurea conseguita nella classe L/SNT 4, di cui al decreto del Ministro Università del 19 febbraio 2009;
  • laurea conseguita in una delle classi 4, 8, 9, 10, di cui al decreto del Ministro Università del 4 agosto 2000;
  • laurea conseguita in una delle classi L7, L8, L9, L17, L23, di cui al decreto del Ministro Università del 18 marzo 2006.

Sono altresì validi, ai fini dell’esonero, tutti i diplomi di laurea del vecchio ordinamento di Ingegneria ed Architettura, conseguiti ai sensi del R.D. n. 1652/1938. Costituisce infine titolo di esonero dalla frequenza dei corsi previsti (moduli A, B, C), relativamente a ciascun modulo (moduli A, B, C), il possesso di un certificato universitario attestante il superamento di uno o più esami relativi ad uno o più insegnamenti specifici del corso di laurea nel cui programma siano presenti i contenuti previsti nell’Accordo 2016 o l’attestato di partecipazione ad un corso universitario di specializzazione, perfezionamento o master i cui contenuti e le relative modalità di svolgimento siano conformi ai contenuti dell’Accordo 2016.

Obbligo di aggiornamento

L’obbligo dell’aggiornamento per RSPP e ASPP si inquadra a pieno titolo nella formazione continua da attuare durante l’intero arco della vita lavorativa. In relazione ai compiti di RSPP e ASPP, l’aggiornamento non deve essere di carattere generale o mera riproduzione di argomenti e contenuti già proposti nei corsi base, ma deve trattare evoluzioni, innovazioni, applicazioni pratiche e approfondimenti collegate al contesto produttivo e ai rischi specifici del settore di interesse.

L’Accordo del 2016 ha puntualmente indicato le tematiche oggetto di aggiornamento, le modalità di erogazione della formazione e i soggetti formatori titolati. Le ore minime complessive dell’aggiornamento sono fissate in base al ruolo svolto e sono rispettivamente pari a 20 ore nel quinquennio per l’ASPP e pari a 40 ore nel quinquennio per l’RSPP. È preferibile che il monte ore complessivo di aggiornamento sia distribuito nell’arco temporale del quinquennio. L’aggiornamento può essere ottemperato anche per mezzo della partecipazione a convegni o seminari, a condizione che essi trattino delle materie o i cui contenuti siano coerenti con le tematiche previste, e comunque per un numero di ore che non può essere superiore al 50 % del totale di ore di aggiornamento complessivo (ASPP: 10 ore, RSPP: 20 ore).

Ai fini dell’aggiornamento per RSPP e ASPP, la partecipazione a corsi di formazione:

  • finalizzati all’ottenimento e/o all’aggiornamento di qualifiche specifiche come quelle di dirigenti e preposti, di lavoratori incaricati alla gestione delle emergenze e al primo soccorso, non è valida a riconoscere il credito formativo
  • per l’ottenimento del modulo specialistico B (SP1, SP2, SP3, SP4), non è valida a riconoscere il credito formativo
  • per formatore per la sicurezza sul lavoro (decreto 6 marzo 2013), è valida a riconoscere il credito formativo
  • per l’aggiornamento a coordinatore per la sicurezza nei cantieri (CSP/CSE), è valida a riconoscere il credito formativo.

Conseguenze del mancato aggiornamento

L’aggiornamento della formazione per RSPP e ASPP è obbligatorio ed ha decorrenza quinquennale, a partire dalla conclusione del Modulo B- base. Per i soggetti esonerati invece, l’obbligo di aggiornamento quinquennale decorre o dal 15 maggio 2008 (data di entrata in vigore del decreto 81) o dalla data di conseguimento della laurea, se avvenuta dopo il 15 maggio 2008.

La data del 15 maggio 2018 (termine del secondo quinquennio di aggiornamento; il primo è scaduto il 15 maggio 2013) ha riguardato non tutti gli ASPP e RSPP, ma solo i soggetti esonerati dalla formazione alla data di entrata in vigore del decreto 81, poiché in possesso di laurea riconosciuta idonea.

Gli RSPP e ASPP, che non hanno maturato il credito formativo richiesto, devono, come conseguenza, sospendere temporaneamente lo svolgimento delle proprie funzioni. Con riguardo infatti all’Accordo Stato-Regioni del 25 luglio 2012, all’Interpello n. 15/2015 e all’Accordo 7 luglio 2016, l’ASPP o il RSPP, che non adempia l’obbligo di aggiornamento nei tempi previsti, perde la propria operatività, fino al completamento del monte ore di aggiornamento previsto.

Per poter esercitare la propria funzione, gli RSPP e gli ASPP devono, in ogni istante, poter dimostrare che in ogni quinquennio hanno partecipato a corsi di formazione, per un numero di ore non inferiore a quello minimo previsto. L’assenza della totale frequenza ai corsi di aggiornamento non fa comunque venir meno il credito formativo parziale nel frattempo maturato, ma solo il completamento dell’aggiornamento, pur se effettuato in ritardo, consente di ritornare a svolgere la funzione esercitata.

(Fonte IPSOA)

Costo del lavoro dipendente: premi INAIL e adempimenti delle aziende

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I costi che il datore di lavoro è chiamato a sostenere, con riferimento ai rapporti di lavoro subordinato, sono composti, oltre che dalla contribuzione previdenziale, anche dagli oneri assistenziali dovuti all’INAIL e, in alcuni casi, alla Cassa edile. La determinazione del premio dovuto per la copertura dal rischio di infortuni e dalla malattia professionale è strettamente collegata alla tipologia di attività svolta dall’azienda e dalle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. Come si calcola il tasso di premio? Quando si ha diritto alle agevolazioni tariffarie per il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di igiene?

Il rapporto assicurativo con l’INAIL si costituisce automaticamente al verificarsi dei presupposti soggettivi e oggettivi stabiliti dalla legge, ovvero, di norma, all’atto della presentazione all’INAIL della denuncia dell’attività esercitata. A tutela dei lavoratori dipendenti, la legge prevede l’applicazione del principio dell’automaticità delle prestazioni: l’erogazione dell’indennità spettante al lavoratore avviene anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia provveduto al versamento dei contributi dovuti all’INAIL.

Iscrizione del datore di lavoro

Il datore di lavoro, contestualmente all’inizio della propria attività lavorativa, è tenuto a presentare, con modalità telematiche, all’INAIL la denuncia di esercizio per la valutazione dei rischi ed il calcolo del premio di assicurazione.

La denuncia deve contenere tutti gli elementi, le notizie e le indicazioni richiesti con i servizi telematici, ed in particolare l’attività esercitata, le lavorazioni svolte e l’ammontare annuo presunto delle retribuzioni dei lavoratori in relazione alle lavorazioni stesse.

N:B. Ogni variazione successiva alla presentazione della denuncia di iscrizione o di esercizio deve essere comunicata per via telematica all’INAIL.

Entro 30 giorni dalla data di presentazione della denuncia, l’INAIL rilascia il certificato di assicurazione e conteggio del premio in cui sono riportati:

  • l’attribuzione del codice ditta, il numero di Posizione assicurativa territoriale (PAT) ed il PIN per l’accesso ai servizi telematici
  • gli elementi per il calcolo del premio assicurativo, derivanti dalle specifiche attività denunciate, dai soggetti assicurati e dalle retribuzioni indicate
  • l’importo del premio dovuto e la relativa data di scadenza sulla base delle retribuzioni, effettive o convenzionali corrisposte durante il periodo assicurativo, e dal tasso del premio, determinato dalle lavorazioni dichiarate. Si tratta, dunque, della traduzione numerica della gravità del rischio della lavorazione. Le tariffe dei premi sono distinte per settore: industria; artigianato; terziario; altre attività.

Premi INAIL – Esempio di calcolo

Lavoratore dipendente, impiegato d’ufficio

Tasso di premio: 15 per mille

Retribuzione complessiva annuale: 20.000 euro

Premio INAIL: 20.000 / 1.000 x 15 = 300 euro.

Agevolazioni tariffarie

Con la circolare n. 13/2018, l’INAIL ha fornito le istruzioni operative per l’applicazione della riduzione dell’importo dei premi e contributi dovuti per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali applicabile a tutte le tipologie di premi e contributi oggetto di riduzione.

La riduzione è applicata per legge in attesa dell’aggiornamento delle tariffe dei premi e contributi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha stabilito che la riduzione dei premi e dei contributi di competenza dell’anno 2018 è pari al 15,81%: essa si applica, dunque, alla rata anticipata dovuta per il 2018 e alla regolazione o conguaglio dovuto per il medesimo anno, da versare con l’autoliquidazione nel 2019.

Con riferimento alle lavorazioni iniziate da non oltre un biennio, per i soggetti che hanno già presentato e per i quali è stata accettata nel corso del biennio la riduzione sarà applicata automaticamente, senza necessità di una ulteriore istanza.

Per il periodo successivo al primo biennio, le aziende possono ottenere l’oscillazione del tasso per prevenzione: l’INAIL premia con uno “sconto” denominato “oscillazione per prevenzione” (OT/24), le aziende che eseguono interventi per il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di igienenei luoghi di lavoro, in aggiunta a quelli minimi previsti dalla normativa in materia (D.L. n. 81/2008 e s.m.i.).

La riduzione di tasso è riconosciuta in misura fissa, in relazione al numero dei lavoratori-anno del periodo, come segue:

Lavoratori-anno  Riduzione

fino a 10 28%

da 11 a 50 18%

da 51 a 200 10%

oltre 200 5%

Le aziende in possesso dei requisiti per il rilascio della regolarità contributiva ed assicurativa ed in regola con le disposizioni obbligatorie in materia di prevenzione infortuni e di igiene del lavoro (pre-requisiti), possono presentare domanda. La regolarità in materia di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro deve essere rispettata con riferimento alla situazione presente alla data del 31 dicembre dell’anno precedente quello cui si riferisce la domanda.

L’azienda, inoltre, nell’anno precedente a quello in cui chiede la riduzione, deve aver effettuato interventi di miglioramento nel campo della prevenzione degli infortuni e igiene del lavoro.

N.B. La riduzione riconosciuta dall’INAIL opera solo per l’anno nel quale è stata presentata la domanda ed è applicata dall’azienda stessa, in sede di regolazione del premio assicurativo dovuto per lo stesso anno

Contribuzione e accantonamento presso le Casse edili

Le Casse edili sono enti paritetici che operano a livello provinciale, finanziate esclusivamente dai contributi a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore edile.

La nascita delle Casse edili e la loro attività è stata resa necessaria a causa delle pecularità del settore edile, un settore caratterizzato dalla frammentazione delle imprese, in cui le ridotte dimensioni aziendali e la mancanza di continuità nei rapporti di lavoro hanno richiesto l’introduzione di strumenti di tutela specifici, integrativi di quelli pubblici.

Le Casse edili assicurano ai lavoratori del settore l’erogazione di una serie di prestazioni retributive:

  • le mensilità aggiuntive
  • le ferie
  • gli scatti di anzianità, che presupponendo l’occupazione per un tempo minimo nella stessa impresa, riuscirebbero difficilmente a maturare a causa della elevata mobilità e discontinuità dei rapporti di lavoro, causati dalla durata temporanea dei cantieri.

Il datore di lavoro edile deve versare alla Cassa mensilmente:

  • gli accantonamenti, pari all’8,50% per il pagamento agli operai sia delle Ferie e al 10% per la corresponsione della Gratifica Natalizia;
  • i contributi, con aliquota variabile per provincia dal 7 al 10%, inclusa la quota posta a carico del lavoratore che varia tra l’1% e l’1,50%.

Esempio di calcolo

Retribuzione oraria contrattuale: 10,50

Retribuzione lorda: 10,5 x 168 = 1764 euro

Maggiorazione cassa edile 1764/100x 18,5% = 326,34

Contributo cassa edile c/dipendente = 1764/100 x 0,42% = 7,4

Imponibile contributivo = 2.082,94 euro

Ritenute previdenziali c/dipendente = 197,58 euro

Imponibile fiscale = 1.885,36 euro

Imposte sul reddito = 350 euro

Accantonamento cassa edile = 240,48 euro

Retribuzione netta corrisposta = 1.294,88

Domande e soluzioni

Anche per i tirocinanti è necessario versare il premio INAIL?

I soggetti promotori sono tenuti ad assicurare i tirocinanti contro gli infortuni sul lavoro presso l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), nonché presso idonea compagnia assicuratrice per la responsabilità civile verso terzi. Le coperture assicurative devono riguardare anche le attività eventualmente svolte dal tirocinante al di fuori dell’azienda e rientranti nel progetto formativo e di orientamento

Come e quando è possibile sospendere l’iscrizione in Cassa edile?

Nel caso in cui l’impresa non abbia manodopera occupata, cantieri attivi nelle Province di gestione della Cassa o in caso di trasferimento dei lavoratori in altra Provincia per lavori edili, per un periodo superiore ai 90 giorni, può essere richiesta la temporanea sospensione della posizione in Cassa Edile.

Quando si raggiunge il diritto alla liquidazione dell’APE?

Il diritto alla liquidazione si raggiunge quando la Cassa ha registrato a favore dell’operaio almeno 2.100 ore in un biennio (ore lavorate, di malattia, infortunio, 88 ore per mese di servizio militare, 88 per congedo matrimoniale).Si tiene conto degli scatti biennali (ogni due anni l’importo orario aumenta fino ad un massimo di cinque scatti) e della qualifica, sulla base delle ore normali lavorate nell’anno precedente quello di liquidazione.

(Fonte Ipsoa)

Welfare aziendale: e se l’azienda copre le spese di trasporto solo ad uno o più dipendenti?

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Il datore di lavoro può, volontariamente o in esecuzione di un contratto collettivo, rimborsare le spese sostenute dal lavoratore per l’acquisto di abbonamenti per il trasporto pubblico (locale, regionale e interregionale) per sé o per i propri familiari. Tali spese di trasporto possono, inoltre, essere indennizzate con l’anticipazione di somme in denaro o con l’acquisto diretto dei titoli di viaggio da parte dell’azienda. Condizione imprescindibile affinché le assegnazioni non entrino a far parte dell’imponibile fiscale è che le stesse siano destinate alla generalità dei lavoratori o a determinate categorie di essi. Cosa succede se, diversamente, sono riconosciute a uno o più dipendenti?

Tra le recenti novità introdotte dalla legge di Bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205), merita una particolare menzione la modifica apportata all’art. 51, D.P.R. n. 917/1986 (TUIR) in materia di welfare aziendale.

La legge di Bilancio ha infatti introdotto al comma 2 della richiamata disposizione, la lettera d-bis), a mezzo della quale è stata prevista la possibilità per il datore di lavoro di riconoscere – volontariamente o in esecuzione di un contratto collettivo (sia di primo che di secondo livello) – il rimborso delle spese sostenute dal lavoratore per l’acquisto di abbonamenti per il trasporto pubblico (locale, regionale e interregionale) per sé o per i propri familiari.

Oltre al rimborso al dipendente, le summenzionate spese di trasportopossono anche essere indennizzate attraverso l’anticipazione di somme in denaro, ovvero attraverso l’acquisto diretto dei titoli di viaggio da parte del datore. Tuttavia, condizione imprescindibile affinché tali assegnazioni non entrino a far parte dell’imponibile è che le stesse siano destinate alla generalità dei lavoratori o a determinate categorie di essi.

Inoltre, come specificato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 5/E del 29 marzo 2018, per garantire l’esclusione dal reddito di lavoro dipendente della misura in discorso è altresì necessario che il datore di lavoro acquisisca e conservi la documentazione attestante il corretto utilizzo delle somme da parte del lavoratore, coerentemente con le finalità per le quali le stesse sono state corrisposte.

Vantaggi per il lavoratore e il datore di lavoro

La possibilità più sopra descritta, oltre a costituire un importante incentivo all’utilizzo dei mezzi pubblici per gli spostamenti quotidiani, rappresenta un indubbio vantaggio economico per il lavoratore (oltreché per il datore), il quale – se destinatario diretto della misura in discorso – gioverebbe della riduzione del costo relativo al trasporto per recarsi a lavoro.

Quanto appena detto determina una sostanziale inversione di tendenza rispetto al passato, in cui il regime agevolato dell’esenzione dal reddito imponibile era circoscritta al valore delle prestazioni di servizi di trasporto collettivo offerte dall’azienda – direttamente o per il tramite soggetti terzi – all’intera platea dei dipendenti, ovvero a specifiche categorie di lavoratori.

In ogni caso, sia nella prima che nella seconda ipotesi, il requisito della generalità risulta dirimente rispetto all’imponibilità o meno delle prestazioni riconosciute.

Benefici per uno o più dipendenti

Cosa accade quindi nell’ipotesi in cui tale criterio non risulti rispettato, ovvero laddove il datore intenda riconoscere la copertura delle spese di trasporto soltanto ad uno o più dipendenti?

La soluzione a tali quesiti non è univoca e dipende sostanzialmente dalla modalità di indennizzo adottata dal datore di lavoro stesso. Infatti, nell’ipotesi in cui le spese affrontate dal lavoratore nel tragitto casa-lavoro vengano compensate con l’erogazione di una determinata somma di denaro, la stessa risulterà interamente imponibile, costituendo un trattamento economico aggiuntivo rispetto a quello previsto dalle norme contrattuali.

Viceversa, laddove per il compimento del tragitto casa-lavoro il datore metta a disposizione del lavoratore un servizio di trasporto (anche attraverso la corresponsione del titolo di viaggio), tale ipotesi soggiacerà alla disciplina di cui all’art. 51, comma 3, TUIR, la quale prevede l’esenzione dal reddito imponibile del valore dei beni ceduti o dei servizi prestati se complessivamente non superiore nel periodo d’imposta a 258,23 euro. Tuttavia, nell’ipotesi in cui il valore ecceda la richiamata soglia di legge, lo stesso concorrerà alla formazione dell’imponibile per il suo intero valore.

Le altre questioni aperte

Oltre al problema appena evidenziato collegato al trattamento contributivo e fiscale delle somme e dei servizi riconosciuti dal datore per la copertura del tragitto casa-lavoro, con lo spostamento quotidiano del lavoratore si pone l’ulteriore questione relativa alla rilevanza (ed al conseguente trattamento economico) dei tempi necessari al dipendente a raggiungere la propria sede lavorativa, anche nell’occasione di lavoro in trasferta.

Tale aspetto, finito più volte sotto la lente di ingrandimento del giudice – anche comunitario – , sarà oggetto di un prossimo intervento in cui verranno esaminate le varie eventualità connesse allo spostamento del dipendente, tenuto anche conto di quanto previsto in materia da alcuni contratti collettivi.

(Fonte IPSOA)