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Sconto ai dipendenti, non imponibile, ma dipende

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Il valore normale di riferimento dei beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti è costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni

L’Agenzia delle entrate, con la risposta n. 158 del 25 marzo 2022, ha chiarito che la concessione di uno sconto ai propri dipendenti, in modo che il prezzo finale praticato risulti, comunque, superiore sia a quello applicato al resto della clientela in occasione di campagne promozionali sia al costo sostenuto dalla società per l’acquisto dei prodotti ceduti, non è imponibile se il lavoratore corrisponde il valore normale del bene al netto degli sconti d’uso.

A interpellare l’Agenzia, è una società che, si occupa del commercio all’ingrosso di generi alimentari e non, ha introdotto, a favore dei propri dipendenti, la possibilità di acquistare, utilizzando il badge aziendale come mezzo di riconoscimento, i prodotti commercializzati con uno sconto pari al 5% del prezzo di vendita, fruibile tutti i giorni dell’anno ed entro il limite della retribuzione netta, per acquisti esclusivamente personali.

Il badge, spiega la società, è utilizzabile esclusivamente dai dipendenti e lo sconto concesso non è cumulabile con altri sconti applicati alla clientela; inoltre, il prezzo pagato dai dipendenti per i prodotti commercializzati, tenendo conto dello sconto, è, comunque, sempre superiore al costo sostenuto dalla società per l’acquisto dei prodotti.

La compagine ha anche pianificato delle campagne promozionali, ma gli sconti applicati al resto della clientela sono mediamente più elevati dello sconto concesso ai dipendenti.

Ciò esposto, la società, in qualità di sostituto di imposta, chiede – prospettando una risposta negativa – se la concessione dello sconto ai propri dipendenti, mediante l’utilizzo di badge, rappresenti, per gli stessi, un compenso in natura imponibile soggetto alla ritenuta in acconto Irpef (articolo 23 del Dpr n. 600/1973).

L’Agenzia premette che l’articolo 51, comma 1 Tuir dispone che “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.

Di conseguenza, sia gli emolumenti in denaro sia i valori corrispondenti ai beni, ai servizi ed alle opere offerti dal datore di lavoro ai propri dipendenti costituiscono, in generale, redditi imponibili e, in quanto tali, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.

La norma richiamata prevede anche che “ai fini della determinazione in denaro dei valori di cui al comma 1 (…) si applicano le disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi contenute nell’articolo 9. Il valore normale dei generi in natura prodotti dall’azienda e ceduti ai dipendenti è determinato in misura pari al prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista”. In particolare, il citato articolo 9, al comma 3 prevede che “per valore normale (…) si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso”.

Sugli sconti d’uso, in particolare, la prassi dell’Agenzia (cfr. risoluzione 26/2010) ha precisato che, per i beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti, il loro valore normale di riferimento possa essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale, compresa l’eventuale convenzione stipulata con il datore di lavoro.

Quindi, nel caso in cui il datore di lavoro commercializzi e venda ai propri dipendenti beni o servizi ad un prezzo scontato, l’eventuale rilevanza reddituale deve essere considerata in base alle sopra esposte regole ordinarie che governano la categoria reddituale in esame, ovvero in ragione del principio di onnicomprensività enunciato dall’articolo 51, comma 1 Tuir (cfr. risoluzione 137/2009).

Il reddito da assoggettare a tassazione, ricorda l’Amministrazione, è pari al valore normale soltanto se il bene è ceduto o il servizio è prestato gratuitamente (ciò vale anche nel caso dei beni prodotti dall’azienda e ceduti gratuitamente al dipendente), se, invece, per la cessione del bene (anche in caso di bene prodotto dall’azienda e ceduto al dipendente) o la prestazione del servizio il dipendente corrisponde delle somme, con il sistema del versamento o della trattenuta, è necessario determinare il valore da assoggettare a tassazione sottraendo tali somme dal valore normale del bene o del servizio. Pertanto, se per la cessione del bene il dipendente corrisponde delle somme, il valore da assoggettare a tassazione è pari alla differenza tra il valore normale (nel senso sopra chiarito) del bene ricevuto e le somme pagate (cfr. circolare Mef n. 326/1997).

Ebbene, siccome il lavoratore, nel caso di specie, corrisponde il valore normale del bene al netto degli sconti d’uso, non si ritiene imponibile l’importo corrispondente a tale sconto.

Fonte FiscoOggi.it