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Distacco temporaneo di manodopera: quando è ammesso

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Il distacco temporaneo di manodopera rappresenta un’ulteriore ipotesi, accanto all’appalto ed alla somministrazione di lavoro, in cui il lavoratore svolge di fatto la propria prestazione presso un soggetto diverso dal proprio datore di lavoro, con una scissione strutturale fra titolarità giuridica e gestione del rapporto lavorativo. Questa particolare forma di esternalizzazione, differentemente da quelle più generaliste analizzate negli articoli delle scorse settimane, è tuttavia utilizzabile solo in presenza di specifiche condizioni che il nostro ordinamento dettagliatamente individua.

Questo istituto non va, evidentemente, confuso con il distacco transnazionale dal quale, pur nella condivisione di alcuni limitati principi, si distingue in virtù di una differente disciplina giuridica che verrà analizzata in un prossimo approfondimento.

Secondo le previsioni dell’art. 30, del D.Lgs. n. 276/2003 il distacco si realizza quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.

Esso rappresenta una tipica esplicazione del potere direttivo del datore di lavoro il quale dispone una diversa modalità di esecuzione della prestazione lavorativa; proprio per questa ragione il lavoratore distaccato non può che avere un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del datore di lavoro distaccante. A questo proposito il Ministero del lavoro, con la risposta ad interpello n. 387/2005, ha precisato che il distacco è ammesso anche per i lavoratori con contratto a termine, comunque nel rispetto dei limiti di validità del rapporto.

In passato la legittimità del distacco era strettamente correlata al requisito di imprenditorialità del distaccante, quindi quest’ultimo doveva essere dotato di una specifica struttura organizzativa (art. 2082 cod. civ.). Con la riforma del 2003, invece, il Legislatore ha consentito che a rivestire il ruolo di distaccante sia qualsiasi “datore di lavoro” anche non formalmente inquadrato come imprenditore, purché risulti l’effettivo datore di lavoro del lavoratore distaccato. Anche con riguardo al soggetto distaccatario la norma riconosce la legittimità di un distacco presso un non imprenditore.

Affinché il distacco di un lavoratore possa essere considerato legittimo, devono contemporaneamente sussistere le seguenti tre fondamentali condizioni:

Il distaccante deve essere spinto al distacco da un qualsiasi interesse produttivo proprio che non può coincidere, evidentemente, con quello alla mera somministrazione di lavoro, interesse che deve sussistere e protrarsi per tutta la durata del distacco. Per valutarne la genuinità, questo presupposto andrà accertato concretamente, caso per caso, in base all’attività espletata e non semplicemente con riferimento agli scopi sociali dell’impresa (salvo il caso del contratto di rete o dei gruppi d’imprese di cui si dirà appresso).

A questo riguardo con la circolare n. 28/2005 il Ministero del lavoro, sulla scorta di un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha declinato le peculiarità che l’interesse del distaccante deve possedere. In particolare esso deve essere: · specifico, nel senso che necessita di una esatta individuazione, senza riferimenti generali e non circostanziati ad attività, fatti o situazioni contingenti: ogni distacco deve muovere da un distinto e specificamente individuato interesse datoriale;

· rilevante, vale a dire che deve mostrare caratteristiche idonee a proporzionare la scelta datoriale al significato strategico dell’operazione nel contesto dell’organizzazione aziendale: il distacco va letto nell’ottica dei riflessi organizzativo-produttivi che viene precisamente ad avere per il datore di lavoro distaccante;

· concreto, e cioè non deve avere astratta attinenza con i processi produttivi o logistici aziendali, ma diretta e immediata incidenza su almeno uno di essi: la giurisprudenza ha insistito sulla “concretezza” dell’interesse al distacco, evidenziando che il patto con il quale il lavoratore viene ad essere distaccato deve trovare diretta e veritiera rispondenza in un interesse che non sia generale ed astratto, ma che, al contrario, risulti perfettamente aderente alla realtà gestionale dell’organizzazione datoriale interessata;

· persistente, nel senso che deve permanere per tutta la durata del distacco e sussistere fin dal primo momento dell’attivazione di esso: il distaccante dovrà, quindi per tutta la durata del distacco, essere accompagnato da una specifica valutazione interessata dell’operazione posta in essere.

Vale a dire la non definitività dello stesso, rispetto alla quale non ha alcun rilievo l’entità del periodo di distacco, ma soltanto il fatto che la durata del distacco stesso risulti funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante; secondo un risalente ma consolidato orientamento giurisprudenziale, non è necessario che la durata sia particolarmente breve, né che sia predeterminata ab initio.

Il lavoratore distaccato non potrà essere addetto a prestazioni lavorative generiche, ma a quella determinata attività lavorativa che caratterizza e sostanzia l’interesse proprio del distaccante.

Relativamente al luogo dove viene svolta la prestazione lavorativa del lavoratore distaccato, l’Interpello n. 1/2011 ha chiarito che: «Il luogo di lavoro del lavoratore distaccato costituisce mera modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (…), la prestazione del lavoratore presso una sede di lavoro diversa da quella del distaccatario costituisce dunque un elemento di fatto della prestazione che potrà eventualmente essere valutato, unitamente agli altri, per verificare l’effettiva sussistenza dei requisiti di legittimità e l’assenza di condotte elusive».

In linea generale, il consenso del lavoratore non costituisce un presupposto per il legittimo distacco. Tale consenso diviene, tuttavia, necessario qualora il distacco comporti un mutamento di mansioni, anche se questo particolare aspetto andrà oggi letto alla luce delle novità introdotte dall’art. 3, del D.Lgs. n. 81/2015 in tema di mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

In caso di distacco che comporti lo spostamento ad una unità produttiva distante più di 50 chilometri rispetto a quella originaria, la norma, inoltre per evitare surrettizie forme di trasferimento, esige la presenza dei medesimi presupposti giustificativi previsti dall’art. 2103 cod. civ.. Pertanto il distacco, in questo caso, sarà consentito in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

Il D.L. n. 76/2013 (convertito in legge n. 99/2013) ha emendato la norma di riferimento prevedendo che, nell’ambito di un contratto di rete (cfr. art. 3, co.4- ter, 4-quater e 4-quinquies del DL n. 5/2009, convertito dalla Legge n. 33/2009), l’interesse dell’impresa a distaccare i lavoratori presso altre imprese della rete sorge automaticamente in forza dell’operare della rete (quindi non è necessario che venga esplicitato).

Conseguentemente, in presenza di un contratto di rete tra distaccante e distaccatario, ai fini della valutazione di genuinità dell’istituto, sarà sufficiente verificare la sussistenza delle rimanenti due condizioni sopra indicate: la temporaneità del distacco e lo svolgimento di una specifica attività (Ministero del lavoro Circ. n. 35/2013).

Analogo discorso vale per il distacco tra le società appartenenti al medesimo gruppo d’imprese (ex art. 2359, comma 1, c.c.) per le quali l’interesse della società distaccante si ritiene possa coincidere col comune interesse perseguito dal gruppo (cfr. Ministero del lavoro Interpello n. 1/2016).

Difatti, come pure osserva la Suprema Corte nella sentenza n. 8068 del 21/04/2016, in presenza di distinte soggettività giuridiche che compongano un gruppo di imprese titolari di un interesse concorrente alla realizzazione di comuni strutture organizzative e produttive, è riconosciuta la sussistenza dell’interesse al distacco del lavoratore presso un soggetto giuridico diverso, non configurandosi l’interposizione fittizia di manodopera.

In caso di distacco il datore di lavoro distaccante rimane unico diretto responsabile del trattamento economico e normativo a beneficio del lavoratore distaccato. Questi oneri, per tutta la durata del distacco, permangono dunque a carico del distaccante che ne è esclusivo responsabile nei confronti del lavoratore. In relazione al fatto che svolgono per tutta la durata del distacco la prestazione nell’interesse del distaccante, i lavoratori non acquisiscono alcun diritto a ricevere un trattamento economico e normativo equiparato a quello dei dipendenti del distaccatario.

Relativamente all’obbligazione contributiva, questa va adempiuta in relazione all’inquadramento del datore distaccante e resta a esclusivo carico di quest’ultimo. Si ritiene comunque legittima la prassi (consolidata soprattutto all’interno dei gruppi) del rimborso, da parte del distaccatario, degli oneri economici sostenuti dal distaccante. Anzi, secondo quanto affermato nella risposta ad Interpello n. 3/2014, proprio perché il lavoratore distaccato esegue la propria prestazione lavorativa anche nell’interesse del distaccatario, il rimborso degli oneri rende maggiormente trasparente l’imputazione reale dei costi sostenuti nell’operazione.

Con riguardo alla corretta interpretazione all’obbligo della sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008, il Ministero del lavoro, per mezzo dell’Interpello sicurezza n. 8/2016, ha chiarito che gli obblighi relativi alla salute e sicurezza incombono, in modo differenziato, tanto sul datore di lavoro che ha disposto il distacco quanto sul beneficiario della prestazione secondo il seguente schema:

– Sul distaccante grava l’obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato;

– Al distaccatario spetta, invece, l’onere di ottemperare a tutti gli altri obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro inclusa, quindi, la sorveglianza sanitaria.

Per quanto riguarda l’assicurazione infortuni sul lavoro e malattie professionali, si evidenzia che i premi INAIL, pur essendo versati dal datore di lavoro distaccante, vanno tuttavia calcolati sulla base dei premi e della tariffa applicati dal distaccatario in relazione agli specifici rischi dell’attività svolta da quest’ultimo.

In caso di infortunio (o di malattia professionale), il lavoratore distaccato deve darne tempestivamente notizia al proprio datore di lavoro (distaccante) trasmettendogli la relativa certificazione medica; questi potrà così predisporre, nel rispetto dei tempi previsti, le eventuali denunce.

In caso di distacco il datore di lavoro distaccante ha l’obbligo, entro i cinque giorni successivi, di effettuare la comunicazione telematica obbligatoria per mezzo del modulo Unificato LAV (art. 4-bis, co. 5, D.Lgs. n. 181/2000 e s.m.i.). In caso di omissione o di ritardato invio, è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato (violazione sanabile ex art. 13, D.Lgs. 124/2004).

Il Ministero del lavoro, con la circolare n. 20/2008, ha sostenuto inoltre che sul libro unico del lavoro del distaccatario vanno registrati anche i lavoratori distaccati. In particolare il Dicastero ha precisato che la registrazione va effettuata soltanto all’inizio ed alla fine dell’impiego (e non per tutti i mesi di eventuale durata del distacco) e che il distaccatario dovrà limitarsi ad annotare soltanto i dati identificativi del lavoratore (nome, cognome, codice fiscale, qualifica e livello di inquadramento contrattuale, riferimenti del distaccante), mentre il distaccante dovrà procedere alle annotazioni integrali anche con riferimento al calendario delle presenze e ai dati retributivi. Al riguardo, tuttavia, si evidenzia che, in base al principio di tassatività, non sarà possibile, in caso di violazione dell’obbligo da parte del distaccatario, applicare la specifica sanzione dell’omessa registrazione dei dati sul LUL (art. 39, comma 7, legge n. 133/2008), ma il personale ispettivo potrà tutt’al più utilizzare il potere di disposizione previsto dall’art.14, del D.Lgs. n. 124/2004 che, in caso di inosservanza, comporta la successiva applicazione della sanzione da 515 a 2.580 euro (art. 11, comma 1, DPR n. 520/1955).

Sotto il profilo civilistico, se il distacco avviene in assenza dei presupposti sostanziali e formali, si configura un’ipotesi di somministrazione abusiva a carico dello pseudo-distaccante, ed una conseguente utilizzazione illecita a carico dello pseudo-distaccatario ed il lavoratore può richiedere, mediante ricorso giudiziale ai sensi dell’art. 414 c.p.c., la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo.

Sotto il profilo sanzionatorio, infine, per effetto dell’intervenuta depenalizzazione ad opera del D.Lgs. n. 8/2016, il distacco illecito comporta l’applicazione delle sanzioni che si riepilogano nella seguente tabella.

Regime sanzionatorio distacco illecito di manodopera

Fattispecie Distacco privo dei requisiti di cui all’art. 30, co. 1, del D.Lgs. n. 276/2003 Somministrazione abusiva Utilizzazione illecita

Riferimento Art 18, comma 5-bis, D.Lgs. n. 276/2003; Art. 1, comma 1, e 6, D.Lgs. n. 8/2016

Condotta Somministratore (pseudo-distacante): esercizio non autorizzato dell’attività; Utilizzatore (pseudo-distaccatario) che si rivolge ad un somministratore abusivo

Sanzione a) Sanzione amministrativa di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione a carico del somministratore e dell’utilizzatore (La sanzione applicata non può, in ogni caso, essere inferiore a 5.000 euro, né superiore a 50.000 euro).

b) Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda è aumentata fino a € 300/giorno/lavoratore.

(Fonte IPSOA)