Home News Assegno di ricollocazione: percorso ad ostacoli, ma con vantaggi per aziende e...

Assegno di ricollocazione: percorso ad ostacoli, ma con vantaggi per aziende e lavoratori

680
0

ANPAL e Ministero del lavoro, con la circolare n. 11 del 2018, hanno fornito indicazioni sull’accordo di ricollocazione, fissando i criteri e le modalità di accesso per aziende e lavoratori. L’assegno di ricollocazione è, nella sostanza, un voucher, non soggetto ad IRPEF ed a contribuzione previdenziale, graduato in funzione del profilo personale di occupabilità e spendibile presso i Centri per l’impiego o le Agenzie del Lavoro e gli altri Enti accreditati. E’ finalizzato ad ottenere un servizio intensivo di assistenza nella ricerca di un lavoro. Quanto dura il servizio? Quali sono i vantaggi per i datori di lavoro?

Con la circolare congiunta n. 11 del 7 giugno 2018 di Ministero del Lavoro ed ANPAL – a firma di tre Direttori Generali e con il parere positivo dell’Ufficio Legislativo – sono state dettate le disposizioni operative sull’assegno di ricollocazione e che forniscono, nella sostanza, piena applicazione alla previsione contenuta nell’art. 24-bis del D.L.vo n. 148/2015, introdotto con la legge di Bilancio 2018. Al fine di evitare possibili equivoci va sottolineato come la circolare congiunta n. 11 venga riportata sul sito dell’ANPAL con il n. 2 (evidentemente, si fa riferimento soltanto alla progressione numerica delle loro circolari emanate nel 2018).

Con l’art. 24-bis viene estesa, a determinate condizioni, ai lavoratori delle imprese in integrazione salariale straordinaria per riorganizzazione o per crisi aziendale con continuazione dell’attività, la possibilità di poter usufruire del percorso di ricollocazione già pensato per i lavoratori disoccupati.

Per limitare il ricorso ai licenziamenti collettivi, e per favorire strumenti di politica attiva, nel corso dell’esame congiunto ex art. 24 per l’intervento straordinario di cassa integrazione finalizzato ad una riorganizzazione aziendale (massimo 24 mesi) o ad attutire gli effetti di una crisi (massimo 12 mesi), laddove si ritenga che non ci siano gli estremi per un completo recupero occupazionale, le parti, possono sottoscrivere un accordo finalizzato alla ricollocazione del personale che si ritiene eccedentario: ovviamente, non vanno indicati i nominativi ma, unicamente, i reparti o le aree, i profili professionali ed il numero complessivo. L’accordo può prevedere una partecipazione attiva sia dei Centri per l’impiego che delle Agenzie del Lavoro e degli altri Enti accreditati finalizzata al mantenimento ed allo sviluppo delle competenze dei lavoratori interessati attraverso corsi di formazione professionale da effettuare anche attingendo al concorso dei fondi interprofessionali previsti dall’art. 118 della legge n. 388/2000.

Cosa dice la circolare di ANPAL e Ministero del lavoro

La circolare n. 11 precisa che:

a) il contratto di solidarietà è escluso dall’accordo di ricollocazione (e, d’altra parte, non viene citato nell’art. 24-bis)

b) il verbale di consultazione sindacale ex art. 24 (non necessariamente di accordo) deve riportare al proprio interno, in una sezione coerente con il modello allegato alla circolare, l’accordo ove le parti hanno definito il piano di ricollocazione. Il format predisposto contiene i dati di identificazione dell’impresa, la causale di CIGS, il periodo di richiesta, il numero massimo dei lavoratori interessati ed i profili distinti secondo il codice ISTAT

c) in fase di prima applicazione, e fino al 30 settembre 2018, la nota ministeriale ritiene che l’accordo di ricollocazione possa ben essere distinto e temporalmente successivo rispetto al verbale di consultazione. Ad avviso di chi scrive, quindi, qualora un’impresa fosse ammessa allo “sforamento” del periodo massimo di CIGS come previsto dall’art. 22-bis, l’accordo potrebbe avvenire in sede Ministeriale con la sottoscrizione del verbale previsto dal citato articolo: ciò appare in linea con la previsione della circolare n. 11 ove si afferma che le parti debbono riattivare il confronto presso le sedi istituzionali competenti (Ministero del Lavoro o Regione)

d) l’accordo di ricollocazione deve essere trasmesso, con modalità informatiche, a cura del datore di lavoro, entro sette giorni dalla stipula, all’ANPAL.

Da quanto appena detto discende un’osservazione: l’accordo che individua le eccedenze va sottoscritto durante la procedura di esame congiunto e “non” durante la fruizione dell’intervento integrativo straordinario, fatta eccezione per la “fase transitoria” identificata fino al 30 settembre 2018. Si ricorda che, ai sensi del comma 5, dell’art. 24 l’intera procedura di consultazione che si può svolgere anche presso l’ufficio individuato dalla Regione, si esaurisce entro i 25 giorni successivi a quello in cui è stata attivata la richiesta: essi si riducono a 10 qualora l’impresa occupi fino a 50 dipendenti.

Procedura di richiesta

Ma, quali sono i passaggi ulteriori finalizzati all’ottenimento dell’assegno di ricollocazione?

Una volta sottoscritto l’accordo, i lavoratori ricompresi in tali ambiti, possono chiedere all’ANPAL, accedendovi telematicamente, nei 30 giorni successivi (termine che appare perentorio), l’attribuzione anticipata dell’assegno di ricollocazione, nei limiti ed alle condizioni correlati ai programmi di riorganizzazione o di crisi. Il numero delle richiesteall’ANPAL non può eccedere il contingente complessivo previsto nell’accordo sopra citato, anche in relazione agli ambiti ed ai profili: le istanze sono prese in considerazione seguendo l’ordine cronologico di presentazione.

Una considerazione da effettuare riguarda la scelta, volontaria, dei soggetti interessati. Non si tratta di una scelta semplice anche perché le situazioni possono essere del tutto diverse: appare chiaro che la strada della ricollocazione potrebbe essere quella privilegiata da chi, ancora, per età, per qualifica e per necessità, è destinato a rimanere in attività, mentre, altri lavoratori che hanno, ad esempio, i requisiti per l’APE sociale o per quella aziendale, o perché si trovano nelle condizioni, proposte dal datore di lavoro, di accedere al prepensionamento, attivato da qualche fondo di categoria, o a quello ex art. 4, commi da 1 a 7-ter della legge n. 92/2012 (abbastanza oneroso per l’impresa), potrebbero fare scelte diverse, magari “corroborate” da un incentivo economico.

Caratteristiche dell’assegno

L’assegno di ricollocazione è, nella sostanza, un voucher, non soggetto ad IRPEF ed a contribuzione previdenziale, graduato in funzione del profilo personale di occupabilità e spendibile presso i Centri per l’impiego o le Agenzie del Lavoro e gli altri Enti accreditati (scelti dai soggetti interessati): tutto ciò è finalizzato ad ottenere un servizio intensivo di assistenza nella ricerca di un lavoro. La circolare n. 11 richiama, sotto l’aspetto prettamente operativo, la delibera dell’ANPAL n. 14 del 18 aprile 2018.

Ma quanto dura il servizio intensivo di assistenza nella ricerca di un lavoro da parte del centro per l’impiego o dell’Agenzia del Lavoro prescelta? Non meno di 6 mesi, ricorda la circolare n. 11 e, comunque, per un periodo massimo corrispondente a quello richiesto (e concesso) di integrazione salariale. Tale periodo può essere prorogato, per un massimo di 12 mesi, qualora non sia stato consumato l’intero importo dell’assegno: tutto questo, però, postula un accordo tra il lavoratore interessato e l’Ente o l’Agenzia che eroga il servizio. Il programma di ricollocazione segue la strada individuata dall’art. 22, comma 2, del D.L.vo n. 150/2015 e può essere stipulato anche dopo aver sentito il datore di lavoro.

Lo svolgimento del programma non deve interferire con l’attività lavorativa del lavoratore in CIGS (dal 24 settembre 2017 le ore integrabili, intese sul numero complessivo dei lavoratori interessati, non possono superare la percentuale dell’80%): ciò significa che sia le convocazioni che le iniziative di politica attiva proposte debbono avvenire al di fuori dell’orario di lavoro.

Altra novità rispetto alla normativa generale riguarda l’art. 25 del D.L.vo n. 150/2015: i lavoratori cassaintegrati non sono tenuti ad accettare un’offerta di lavoro congrua.

La circolare n. 11 sottolinea che il rifiuto non incide sul trattamento di integrazione salariale percepita. La differenza con i disoccupati inseriti nei percorsi di ricollocazione appare, sul punto, evidente in quanto il rifiuto dell’offerta congrua (definita, come tale, secondo principi fissati in una apposita delibera dell’ANPAL) ha effetti “condizionanti” sul trattamento di NASpI o di DIS-COLL percepito.

Come avviene la ricollocazione?

L’offerta di lavoro presentata dal Centro per l’impiego, dall’Agenzia o da altro Ente che supporta il lavoratore, non deve, ovviamente, pervenire da un’impresa che presenti assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli del datore di lavoro cedente (nella sostanza, non ci deve essere un rapporto di collegamento e controllo ex art. 2359 c.c. o un riferimento allo stesso proprietario, anche per interposta persona): giustamente, si vuole evitare, nei limiti del possibile, il “gioco delle tre carte” con un arricchimento indebito di alcuni soggetti che operano ai margini della legalità normativa.

Se l’offerta di lavoro viene accettata, il lavoratore beneficia di un vantaggio che ricorda, per certi versi, sia pure alla lontana, quello previsto dall’offerta conciliativa facoltativa ex art. 6 del D.L.vo n. 23/2015, in caso di accettazione del licenziamento.

Il lavoratore, a fronte della cessazione del rapporto dal precedente datore, ottiene una esenzione dall’IRPEF sulle somme percepite in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro (nella sostanza, le erogazioni intese come “incentivi all’esodo”) fino ad un massimo di 9 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR: ovviamente, le ulteriori somme sono soggette al normale regime fiscale. La circolare n. 11 si limita a riportare il dettato normativo e non chiarisce, esplicitamente, che le somme esenti da IRPEF sono soltanto quelle legate all’esodo incentivato.

In aggiunta a quanto appena detto, il lavoratore ottiene un contributo mensile pari al 50% del trattamento di CIGS non ancora corrisposto in relazione alle mensilità di “fruizione” mancanti.

La circolare n. 11 chiarisce che l’importo spettante all’interessato dovrà essere calcolato applicando al periodo residuo del programma di CIGS in corso, la percentuale delle ore integrate mediamente osservata nel periodo di fruizione.

Un consiglio appare necessario, pur se la circolare n. 11 non ne parla: è opportuno corrispondere le competenze di fine rapporto in “sede protetta” (art. 410 cpc, art. 411 cpc) per i riflessi legati al mancato pagamento dell’IRPEF rispetto alla quantificazione della somma complessiva esente: tale passaggio, previsto esplicitamente per l’offerta conciliativa ex art. 6 del D.L.vo n. 23/2015, non è stato ipotizzato, ma potrebbe essere necessario anche in una logica di correttezza e di verifica relativa alle somme esenti fiscalmente, che potrebbero essere sindacate, in un momento successivo, dall’Agenzia delle Entrate.

Altre questioni non trattate nella circolare

Qui, ad avviso di chi scrive, si pongono ulteriori questioni, non affrontate nella circolare n. 11.

La prima riguarda le modalità di risoluzione del rapporto di lavoro. Se il dipendente in integrazione salariale risolverà consensualmente il rapporto o darà le proprie dimissioni, ciò dovrà essere effettuato attraverso la procedura telematicarichiamata dall’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015, a meno che la risoluzione non avvenga in sede di conciliazione ex art. 410 e 411 cpc, o secondo l’iter specifico previsto per le donne in “periodo protetto”.

Se, invece, formalmente, si procederà con un licenziamento, il datore di lavoro dovrà versare il “ticket licenziamento” (sicuramente, non maggiorato, in quanto non avvenuto al termine di una procedura collettiva): tale obbligo sussiste in quanto non è applicabile l’esimente prevista dal comma 34 dell’art. 2 della legge n. 92/2012 che riguarda soltanto i licenziamenti nei cambi di appalto seguiti dalle successive assunzioni in ottemperanza di clausole sociali e quelli dei lavoratori a tempo indeterminato in edilizia motivati dal completamento dell’attività o dalla chiusura del cantiere.

Quali sono i vantaggi contributivi per il datore di lavoro che assume?

I vantaggi contributivi per i datori di lavoro consistono nell’esonero del 50% dei complessivi contributi previdenziali ed assistenziali, con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all’INAIL, nel limite massimo di 4.030 euro annui, rivalutati annualmente in base all’indice ISTAT per 18 mesi nel caso in cui l’assunzione avvenga a tempo indeterminato e per 12 mesi qualora l’instaurazione del rapporto avvenga a termine. Se il contratto a tempo determinato si trasforma, il beneficio viene riconosciuto per altri 6 mesi fino a giungere ai complessivi 18 mesi.

Sarà, senz’altro, l’INPS, al momento opportuno, a fornire le indicazioni amministrative finalizzate al “godimento” delle agevolazioni, pur se la dizione adoperata ricopia, pedissequamente, precedenti disposizioni, per cui, ad esempio, si può pensare che debbano essere comunque pagati i contributi relativi ad alcune voci, riassunte, ad esempio, dalla circolare n. 57/2016:

  • i premi e contributi INAIL
  • i contributi, se dovuti, al Fondo per l’erogazione del TFR
  • i contributi, se dovuti, ai Fondi bilaterali per l’integrazione salariale o a quello di integrazione salariale (D.L. vo n. 148/2015)
  • lo 0,30% previsto dall’art. 25, comma 4, della legge n. 845/1978 per i datori che aderiscono ai fondi interprofessionali
  • il contributo di solidarietà per la previdenza complementare ed i fondi di assistenza sanitaria (ex lege n. 166/1991)
  • il contributo di solidarietà per i lavoratori dello spettacolo e quello per gli sportivi professionisti (D.L. vo n. 166/1997).

Tale agevolazione contributiva, ricorrendone le condizioni, sarà cumulabile con altri beneficierogati dall’Istituto, sulla base di specifiche norme e sarà corrisposta pur in presenza di qualche situazione ostativa richiamata dall’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015? La risposta, in attesa di chiarimenti specifici dell’INPS, è per l’incumulabilità e per il rispetto delle condizioni previste dall’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015 e dell’art. 1, commi 1175 e 1176 della legge n. 296/2006.

L’agevolazione contributiva per un massimo di 12 (se l’assunzione è a termine) o 18 mesi (se il rapporto è a tempo indeterminato) ricorda, molto da vicino, una che esiste nel nostro ordinamento sin dal 1993: ci si riferisce all’art. 4, comma 3, del D.L. n. 148/1993, convertito, con modificazioni, nella legge n. 236, ove l’assunzione a tempo indeterminato di un cassaintegrato da almeno 3 mesi, anche non continuativi (con l’azienda che sta beneficiando del trattamento integrativo da almeno 6 mesi) viene “premiata” con una contribuzione ridotta (10%) per 12 mesi pari a quella stabilita, in via ordinaria, per gli apprendisti, ferma restando quella a carico del lavoratore.

Il beneficio economico ulteriore pari al 50% dell’indennità di mobilità è venuto meno con la fine di quest’ultima, a partire dal 1° gennaio 2017.

(Fonte IPSOA)