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Licenziamento illegittimo: aumentano i costi per le aziende

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Con il decreto Dignità (decreto legge n. 87/2018) viene rivista l’indennità risarcitoria prevista dall’articolo 3, del decreto legislativo istitutivo delle tutele crescenti (D. Lgs. n. 23/2015).

Rispetto a quanto già previsto dal Decreto Legislativo n. 23/2015, il decreto Dignità non è intervenuto sul modus operandi dell’indennità, che rimane di 2 mensilità per ogni anno di servizio, ma è intervenuto aumentando l’indennizzo ai lavoratori con meno di 3 anni di servizio ed ai lavoratori con più di 12 anni di servizio. Nulla è cambiato, invece, per i lavoratori che hanno una anzianità compresa tra i 3 ed i 12 anni di servizio.

Ricordo, inoltre, che l’indennità non è assoggettata a contribuzione previdenziale e che per le frazioni di anno d’anzianità di servizio, le indennità sono riproporzionate e le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni si computano come mese intero. Inoltre, per le aziende al di sotto dei limiti dimensionali dell’articolo 18, l’indennità va dimezzata e non può, in ogni caso, superare il limite di 6 mensilità. Ciò significa che si andrà da un minimo di 3 ad un massimo di 6 mensilità (prima del Decreto Dignità, l’indennità era da minimo 2 ad un massimo 6).

Nulla è cambiato, nel testo del decreto legge, per quanto riguarda l’offerta conciliativa, prevista dall’articolo 6 del Decreto Legislativo n. 23/2015, che continua a prevedere un importo – non assoggettato a contribuzione previdenziale e che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche – di una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a 18, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare.

Nella giornata del 26 luglio scorso è stato approvato, dalla Commissione Lavoro della Camera, un emendamento che andrebbe a rivedere anche il massimale dell’articolo 6, in caso di offerta conciliativa, che si posizionerebbe sulle 27 mensilità.

Riepilogando, secondo la nuova formulazione dell’articolo 6, del Decreto Legislativo n. 23/2015, le mensilità da offrire in caso di conciliazione e chiusura di un eventuale contenzioso in materia di licenziamento, andrebbero da 2 a 27 in relazione all’anzialità di servizio del lavoratore (una per anno di servizio).

Nulla è cambiato, infine, per quanto attiene ai lavorati assunti prima del 7 marzo 2015 o che, comunque, non sono a tutele crescenti (ad esempio, apprendisti assunti prima del 7 marzo 2015 e che poi sono stati qualificati dopo tale data). Per loro continuano ad applicarsi, in conformità al numero di dipendenti dell’impresa, le tutele reali (per aziende con più di 15 dipendenti – articolo 18, della Legge 300/1970, così come rivisto dalla Legge 92/2012) o le tutele obbligatorie (aziende fino a 15 dipendenti). In particolare, un lavoratore in tutela reale, qualora il giudice dichiari l’illegittimità di un licenziamento, per una delle motivazioni per le quali il legislatore non ha previsto la reintegra, andrà a percepire una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore ed a tre parametri:

  • il numero dei dipendenti occupati,
  • le dimensioni dell’attività economica,
  • il comportamento e le condizioni delle parti.

N.B. Da questo punto di vista, possiamo notare che, con le modifiche apportate dal Decreto Dignità, i massimali delle due tutele si differenziano notevolmente, in quanto l’indennizzo massimo di un lavoratore in tutela crescente potrà arrivare a 36 mensilità (con anzianità di servizio minima di 18 anni presso quel datore di lavoro) mentre l’indennizzo di un lavoratore in tutela reale si fermerà a 24 mensilità.

Al fine di comprendere le modifiche apportate, si riproduce una tabella contenente le mensilità, previste dal legislatore, quale indennizzo risarcitorio per il lavoratore a tutele crescenti, in caso di sentenza del giudice che valuti illegittimo il licenziamento comminato dal datore di lavoro. Ciò sempreché, quest’ultimo, non abbia rilevato la nullità del licenziamento o la mancanza del fatto materiale contestato in caso di licenziamento disciplinare, nel qual caso la normativa prevede la reintegra piena del lavoratore nel posto di lavoro. La tabella riporta, nella seconda e terza colonna, le differenze di mensilità tra la normativa storica (Decreto Legislativo n. 23/2015) e la modifica apportata dal Decreto Dignità.

(Fonte IPSOA)