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Maternità e assistenza ai familiari disabili: l’INPS apre alle unioni civili

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Con messaggio del 2 novembre 2018 n. 4074, l’INPS ha fornito chiarimenti operativi alle sedi locali in ordine alle modalità attuative della sentenza costituzionale n. 158/18.

Con questa sentenza, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’esclusione dei periodi di congedo straordinario per la cura di coniuge e figli disabili dal novero dei casi in cui l’indennità di maternità può essere erogata anche in caso di assenza dal servizio per un periodo superiore ai 60 giorni antecedente al periodo di operatività del congedo per maternità.

L’INPS chiarisce al riguardo, che l’estensione di tutela affermata dalla sentenza si applica anche a chi abbia contratto una unione civile.

L’articolo 24 del TU delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D. Lgs. 151/01) dispone che le lavoratrici che, all’inizio del periodo di congedo di maternità, sono sospese o assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate, possono fruire dell’indennità giornaliera di maternità a condizione che tra l’inizio della sospensione, assenza o disoccupazione e quello di congedo non siano decorsi più di 60 giorni.

Ai fini del computo dei 60 giorni, il comma 3 dell’articolo 24 disponeva le seguenti, uniche, esclusioni:

  • delle assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro;
  • del periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità;
  • del periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento;
  • del periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.

Con la sentenza n. 158/18, la Corte Costituzionale, sollecitata dai Tribunali di Torino e Trento ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme sopra indicate, nella parte in cui non includevano – tra i periodi che non concorrono al computo dei 60 giorni tra l’inizio dell’assenza lavorativa e quello del congedo per maternità – quelli di congedo straordinario previsti per l’assistenza al coniuge convivente (art. 42 del TU 151/01) o a un figlio (art. 4, legge n. 104/92), portatori di handicap in situazione di gravità accertata.

La Corte ha affermato che la predetta esclusione sacrificava “in maniera arbitraria” la protezione che l’art. 37, comma 1 della Costituzione accorda alla madre lavoratrice e al bambino, quale rafforzamento della tutela della maternità e dell’infanzia sancita, in termini generali, dall’art. 31.2 della Costituzione stessa.

L’esclusione – sempre secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale pregiudica la madre che si faccia carico anche dell’assistenza al coniuge o al figlio disabili, operando un “bilanciamento irragionevole” di due princìpi di primario rilievo costituzionale: la tutela della maternità e la tutela del disabile. Imponendo una “scelta” tra l’assistenza al disabile e la ripresa dell’attività lavorativa per godere delle provvidenze legate alla maternità, la disciplina censurata comporta l’indebito sacrificio di una delle tutele, entrando in contrasto “con il disegno costituzionale che tende a ravvicinare le due sfere di tutela e a farle convergere, nell’alveo della solidarietà familiare, oltre che nelle altre formazioni sociali.”

La Corte ha concluso, nelle sue motivazioni, affermando che la tutela della maternità e la tutela del disabile, “non sono antitetiche, proprio perché perseguono l’obiettivo comune di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3.2 Cost.) e si impone, quindi, l’estensione della deroga di cui all’art. 24 del TU del 2001.

Come tutte le sentenze della Corte, anche questa trova immediata applicazione. Pertanto, l’INPS ha provveduto ad inserire i due congedi straordinari de quibus tra le fattispecie di assenza dal servizio da non computarsi ai fini della verifica del periodo intercorrente tra l’inizio dell’assenza dal servizio e l’inizio del periodo di congedo obbligatorio per maternità: con conseguente – potenziale – estensione del numero delle lavoratrici che potranno maturare il diritto alla tutela ovvero, per converso, che potranno fruire dei congedi per assistenza a familiari disabili senza dover rinunciare alle tutele di maternità.

Per altro verso, dal punto di vista datoriale, pur non essendo ipotizzabile una particolare rilevanza quantitativa della fattispecie, le aziende potranno dover gestire un incremento delle richieste dei due congedi straordinari in questione, proprio in ragione del fatto che gli stessi non pregiudicano più l’eventuale, successiva fruizione delle tutele di maternità.

Di recente, con il messaggio 4074 del 2 novembre scorso, l’INPS ha ritenuto necessario fornire ulteriori e specifici chiarimenti in ordine all’ambito soggettivo di applicazione della normativa conseguente alla sopra illustrata sentenza costituzionale.

In particolare, l’Istituto, per un verso ha ribadito che a seguito della decisione della Corte costituzionale i periodi di congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, del D.Lgs n. 151/2001, fruiti dalle lavoratrici gestanti per assistere il coniuge convivente o un figlio, con disabilità in situazione di gravità devono essere esclusi dal computo dei 60 giorni di cui all’articolo 24, comma 2, del citato decreto legislativo. E, per altro verso, ha sottolineato come la Corte costituzionale non abbia escluso dal computo tutti i periodi di congedo straordinario, bensì soltanto quelli fruiti per l’assistenza al coniuge convivente o ad un figlio con disabilità in situazione di gravità.

Ciò premesso, il messaggio INPS va oltre, e rammenta alle sedi periferiche che la legge n. 76/2016, che ha istituito e regolamentato le unioni civili tra persone dello stesso sesso, dispone (articolo 1, comma 20) che “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.

Alla luce del chiaro tenore letterale della norma, quindi, l’INPS – con il messaggio in esame – ha chiarito ai propri Uffici che l’unito civilmente è incluso, in via alternativa e al pari del coniuge, tra i soggetti individuati prioritariamente dal legislatore ai fini della concessione del congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, del D. Lgs n. 151/2001, come peraltro già affermato dalla propria precedente circolare n. 38/2017.

Di conseguenza, nella gestione delle domande di fruizione dell’indennità in questione, dal computo dei 60 giorni di cui all’articolo 24, comma 2, del citato D. Lgs n. 151/2001, devono essere esclusi anche tutti i periodi di congedo straordinario fruiti per l’assistenza alla parte dell’unione civile convivente riconosciuta in situazione di disabilità grave ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge n. 104/92.

Il messaggio, infine, chiarisce che le indicazioni fornite si applicano, a richiesta dell’interessato, anche agli eventi pregressi alla sentenza della Corte costituzionale, per i quali non siano trascorsi i termini di prescrizione ovvero per i quali non sia intervenuta sentenza passata in giudicato.

Roma, 12 novembre 2018

(Fonte IPSOA)