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Rimborso spese utenze domestiche dei dipendenti: quale documentazione per il datore di lavoro?

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Con la risposta ad interpello n. 17 del 2025 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti ai datori di lavoro in merito alle formalità di rilascio della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai fini del rimborso delle spese sostenute per le utenze domestiche dai propri dipendenti. In particolare, per le Entrate, la dichiarazione può essere acquisita dal sostituto d’imposta con sottoscrizione in originale e allegata copia del documento di identità del sottoscrittore, senza che risulti necessaria l’autenticazione della sottoscrizione. Il datore di lavoro dovrà aver cura di conservare i documenti per controlli futuri da parte dell’Agenzia.

Premio INAIL: welfare aziendale come leva di riduzione del tasso

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L’INAIL può riconoscere una riduzione del tasso medio di tariffa del premio da pagare alle aziende che effettuano interventi migliorativi per la prevenzione e la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tra le singole sezioni di intervento, rileva come la sezione E, relativa alle misure organizzative per la gestione della salute e sicurezza sul lavoro, trovi nelle misure di welfare aziendale uno strumento efficace per una riduzione del tasso di tariffa del premio INAIL.

L’assicurazione INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali agisce in favore dei lavoratori, garantendo una serie di prestazioni economiche e sanitarie, nei casi di eventuale inabilità temporanea assoluta, inabilità permanente e morte: a prescindere dal verificarsi degli eventi di infortunio o malattia, il datore di lavoro è tenuto a versare annualmente il premio assicurativo ad INAIL, che viene calcolato attraverso la procedura dell’Autoliquidazione.

Tasso medio di tariffa INAIL: oscillazione per prevenzione

Il D.M. 12 dicembre 2000, modificato dal D.M. 3 marzo 2015, all’art. 24, prevede l’applicazione da parte dell’INAIL di una riduzione del tasso medio di tariffa alle aziende che abbiano effettuato interventi per il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di igiene nei luoghi di lavoro, in aggiunta a quelli previsti dalla normativa in materia. Tali aziende hanno la possibilità di ottenere uno sconto sul tasso applicato chiamato “oscillazione per prevenzione”, riconosciuto dall’INAIL sul premio da versare.

L’INAIL, infatti, può riconoscere una riduzione del tasso medio di tariffa alle aziende che hanno realizzato interventi migliorativi per la prevenzione e la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Per poter usufruire dell’agevolazione, il datore di lavoro deve essere in regola con gli adempimenti contributivi ed assicurativi, nonché con le disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro e tale ultimo requisito si intende realizzato qualora siano state osservate tutte le disposizioni obbligatorie previste dal D.Lgs. n. 81/2008, prendendo come riferimento la situazione aziendale alla data del 31 dicembre dell’anno precedente rispetto a quello di presentazione della domanda.

Presentazione della domanda di riduzione del premio assicurativo

Le imprese che soddisfano tali requisiti possono richiedere la riduzione del premio assicurativo INAIL esclusivamente presentando l’apposita istanza telematica di riduzione del tasso medio di tariffa – Modello OT/23 – entro il 28 febbraio (il 29 febbraio se bisestile) dell’anno successivo quello di effettuazione degli interventi. Inoltre, a pena di inammissibilità, entro la medesima data va inviata anche la documentazione probante gli interventi realizzati, allegandola alla domanda utilizzando l’apposita funzionalità “Allegati” all’interno del “Modulo OT23”.

La domanda deve essere presentata per unità produttiva e in ogni domanda possono essere indicate massimo 3 posizioni assicurative territoriali (PAT) che si riferiscono alla stessa unità produttiva; devono essere presentate più domande quando: il numero di PAT per la stessa unità produttiva è maggiore di 3 e nel caso in cui le unità produttive ricadano in ambiti territoriali di competenza di diverse sedi INAIL.

In fase di presentazione della domanda, è necessario tenere conto dell’azienda nel suo complesso e non delle singole PAT; la riduzione, inoltre, produce effetto solo per l’anno di presentazione della domanda e viene applicata in sede di regolazione del premio assicurativo dovuto per lo stesso anno e nella stessa misura per tutte le voci della PAT.

Entità dello sconto sul premio

Lo sconto riconosciuto ha diversa entità a seconda dell’anzianità dell’impresa richiedente e del numero di lavoratori occupati, così come indicato nella tabella di seguito riportata:

Giova ricordare che, qualora vengano a mancare i requisiti necessari per il riconoscimento della riduzione, l’INAIL procede con l’annullamento della riduzione stessa e con la richiesta di integrazione del premio, oltre ad applicare le sanzioni vigenti.

I settori di riferimento sono definiti da un elenco, composto di 6 sezioni, e ad ogni singolo intervento ricompreso nell’elenco viene attribuito un punteggio: la riduzione del tasso medio di tariffa è subordinato ad aver effettuato interventi tali che la somma dei loro punteggi sia pari almeno a 100.

Qualora l’azienda abbia effettuato gli interventi solo su singole posizioni assicurative, il punteggio viene calcolato per ciascuna PAT e, quindi, sarà necessario raggiungere i 100 punti in riferimento alla singola PAT.

Welfare aziendale e sconto della tariffa INAIL

Analizzando le singole sezioni di intervento, rileva come la sezione E, relativa alle misure organizzative per la gestione della salute e sicurezza sul lavoro, trovi nelle misure di welfare aziendale uno strumento efficace per il raggiungimento dei 100 punti richiesti dalla norma.

La sezione E del Modello OT23, come anticipato, riguarda gli interventi in materia di gestione della salute e sicurezza – misure organizzative.

Nello specifico, l’intervento E-4 prevede che “L’azienda ha adottato o mantenuto un modello organizzativo e gestionale di cui all’art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008, anche secondo le procedure semplificate di cui al

D.M. 13 febbraio 2014.”.

Gli interventi in linea con questa disposizione prevedono il raggiungimento automatico dei 100 punti complessivi e permettono, quindi, di accedere al Modello OT23, producendo effetti anche per i 5 anni successivi, ove le procedure di organizzazione e gestione vengano rispettate, aggiornate e monitorate con costanza.

L’introduzione di un modello di organizzazione e gestione, così come previsto dall’art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008, prevede che debba essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:

  1. al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi ad attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
  2. alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
  3. alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
  4. alle attività di sorveglianza sanitaria;
  5. alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;
  6. alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
  7. alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;
  8. alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate.

La struttura di questo modello, parzialmente assimilabile a una regolamentazione aziendale, permette un intervento diretto da parte del Consulente del Lavoro, che, in sinergia con il consulente in materia di sicurezza ed il datore di lavoro, può creare un modello di organizzazione e gestione che interviene sulle reali esigenze del “sistema impresa”, fra cui quelle di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, che sono parte integrante di un piano welfare.

Un esempio concreto, che soddisfa il punto 2 dell’elenco di cui sopra, riguarda l’organizzazione dell’orario di lavoro, che, introducendo un turno continuativo o una flessibilità negli orari di entrata e uscita, può incidere favorevolmente sulle misure di prevenzione da eventuali incidenti stradali e, al contempo agevolare la conciliazione dei tempi di vita e lavoro.

Conclusioni

Per concludere, il Modello OT23 non si configura soltanto come una modalità di richiesta della riduzione del tasso applicato all’impresa o al professionista, ma diventa una vera e propria occasione per avvicinare il datore di lavoro a un nuovo concetto di salute e sicurezza, anche per il tramite di misure di welfare e wellbeing.

Fonte IPSOA.it

Periodo di prova nei contratti a termine: come si calcola la durata dopo il Collegato Lavoro

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il Collegato Lavoro (legge n. 203/2024) cambia le modalità di calcolo del periodo di prova nei contratti a tempo determinato. In particolare, la durata del periodo di prova viene stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario, a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. La durata del periodo di prova ha, comunque, dei limiti di durata minimi e massimi che dipendono dalla durata complessiva del rapporto di lavoro a termine. 

Cambia la modalità di calcolo del periodo di prova nei contratti a tempo determinato. Questa è una delle novità contenute nel Collegato Lavoro (legge n. 203/2024), che dopo un iter parlamentare di un anno e mezzo, conclusosi lo scorso 10 dicembre, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 28 dicembre 2024.

In particolare, l’art. 13 apporta una modifica all’art. 7, comma 2, del D.Lgs. n.104 del 27 giugno 2022, fornendo le specifiche riguardanti il calcolo del periodo di prova nei contratti a termine. Infatti, l’art. 7, del decreto Trasparenza, su indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di legittimità, aveva affermato che nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova doveva essere stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego, senza nulla aggiungere in merito alle modalità di calcolo della proporzione da effettuare. Con l’integrazione apportata proprio dal Collegato Lavoro, il computo del periodo di prova, istituto opzionale previsto dall’art. 2096 del cod. civ., diventa più semplice e non più soggetto a contenzioso tra le parti.

Calcolo del periodo di prova nei contratti a termine

In particolare, la durata del periodo di prova viene stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario, a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro.

La durata del periodo di prova ha, comunque, dei limiti di durata minimi e massimi che dipendono dalla durata complessiva del rapporto di lavoro a termine.

Nello specifico, nel caso in cui il rapporto a tempo determinato abbia una durata massima non superiore a sei mesi, la durata minima del periodo di prova dovrà essere di due giorni, mentre la durata massima non potrà superare i quindici giorni di prova.

Nel caso in cui il contratto di lavoro a termine abbia una durata superiore a sei ma inferiore ai dodici mesi, il periodo di prova, calcolato sempre in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario, non potrà essere superiore a trenta giorni di effettivo lavoro.

La domanda sorge spontanea: ma se in un rapporto a termine di sei mesi la durata del periodo di prova è di massimo dodici giorni (2 giorni al mese per sei mesi), perché il legislatore pone il limite a quindici giorni? Si tratta di un limite che teoricamente non è raggiungibile e tantomeno superabile. Stesso discorso riguarda la durata massima del periodo di prova nei contratti di durata inferiore ai 12 mesi. Perché indicare un valore di trenta giorni, quando non si potranno superare i ventiquattro giorni di prova (2 giorni al mese per 12 mesi)?

Il legislatore non dice nulla per i rapporti a tempo determinato di durata uguale o superiore ai 12 mesi, ragion per cui ritengo che, in questi casi, debba continuare ad applicarsi il calcolo aritmetico previsto dal legislatore.

In merito al contratto collettivo, il legislatore dispone tale modalità di calcolo del periodo di prova fatte salve eventuali disposizioni più favorevoli proprio della contrattazione collettiva. Ciò sta a significare che la contrattazione collettiva di qualsiasi livello (nazionale, territoriale o aziendale) potrà continuare a disciplinare il periodo di prova. Logicamente, si deve trattare di contratti stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria, così come previsto dall’art. 51, del D.Lgs. n. 81/2015.

Qualora vi sia un intervento da parte della contrattazione collettiva, ritengo che questo non potrà, comunque, prevedere un periodo superiore a quanto stabilito dalla norma di legge, in quanto la rimodulazione del periodo di prova dovrà essere necessariamente “più favorevole” al lavoratore.

Sempre in merito al calcolo del periodo di prova, secondo i dettami del nuovo art. 7, del D.Lgs. n. 104/2022, una frazione inferiore a 15 giorni porterà a non applicare un giorno aggiuntivo di prova.

Ad esempio, se il contratto a tempo determinato prevede un avvio per il primo di gennaio ed una conclusione per il 28 di marzo, la durata complessiva del rapporto di lavoro sarà di 87 giorni, che diviso 15 daranno un valore di 5,8 giorni. Non essendo stato previsto un criterio di arrotondamento (per eccesso e per difetto), ritengo che il mancato raggiungimento della cifra piena, anche per pochi decimi, non darà diritto ad aumentare di un altro giorno il periodo di prova, che si dovrà assestare, nell’esempio prospettato, ai cinque giorni.

Logicamente tale interpretazione potrà essere confermata o rivista dai chiarimenti che il Ministero del lavoro fornirà nelle prossime settimane.

Altra osservazione riguarda il calcolo del periodo di prova in caso di contratti a tempo parziale di tipo verticale. In questo caso, il calcolo effettuato sui giorni di calendario poco si confà con i giorni di effettiva prestazione.

Considerazioni conclusive

Concludo con un ultimo pensiero: potranno essere comunque possibili eventuali accordi individuali che prevedano un prolungamento del periodo di prova, al di sopra dei massimali legislativi o contrattuali?

Ritengo che tale possibilità, per quanto attuabile, è sconsigliabile, in quanto potrebbe portare ad un contenzioso difficilmente sostenibile dinanzi ad un giudice. Nell’accordo andrebbero evidenziate le motivazioni che hanno portato le parti ad ampliare il periodo di prova, come, ad esempio, l’impossibilità di “sperimentare” l’attività oggetto del contratto nei soli giorni indicati dalla legge.

Sarà compito del datore di lavoro sottolineare, in maniera analitica, la complessità delle mansioni che avrà il lavoratore, tali da ritenere inadeguata la durata della prova, come individuata dalla legge o dalla contrattazione collettiva, e non corrispondente alle necessità addotte dallo stesso legislatore laddove statuisce che “il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego” (art. 7, comma 1, decreto legislativo n. 104/2022).

Tali motivazioni dovranno, in caso di contenzioso, passare al vaglio di un giudice, che potrà non ritenere sufficiente la giustificazione presentata, ritenendo nullo il recesso comminato.

Fonte IPSOA.it

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